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Clandestina, un'ebrea tedesca in fuga

Clandestina, un'ebrea tedesca in fuga

Marie Jalowicz Simon a 19 anni nella Berlino nazista

ROMA, 28 gennaio 2015, 11:58

Mauretta Capuano

ANSACheck

La copertina del libro 'Clandestina ' di Marie Jalowicz Simon - RIPRODUZIONE RISERVATA

La copertina del libro  'Clandestina ' di Marie Jalowicz Simon - RIPRODUZIONE RISERVATA
La copertina del libro 'Clandestina ' di Marie Jalowicz Simon - RIPRODUZIONE RISERVATA

MARIE JALOWICZ SIMON, CLANDESTINA (EINAUDI, PP 333, EURO 20). Staccarsi la stella gialla, riuscire a lasciare il lavoro forzato alla Siemens convincendo il capo a licenziarla per motivi di salute e poi avere la "sfacciataggine" di farsi eliminare dallo schedario dell'ufficio di collocamento comunicando alle autorità di essere già stata deportata. L'ebrea tedesca Marie Jalowicz Simon, rimasta orfana nella Berlino del 1941, decide a 19 anni di voler sopravvivere a tutti i costi dopo la morte del padre avvocato. Non vuole arrendersi all'arrivo della Gestapo e ci riesce. Sa guardare avanti per resistere, sa cantare una canzone per darsi speranza in un momento di pericolo e recitare fra sé e sé tutte le poesie conosciute a memoria per distrarsi dal dolore. Entra in clandestinità e attraversa un inferno che per molto tempo, fino al 1997, non ha voluto raccontare.
    Ora la sua storia di giovane donna sopravvissuta a Berlino 1940-1945 è diventata un libro, 'Clandestina', pubblicato da Einaudi per il Giorno della Memoria accompagnato da foto. E' una storia di coraggio che arriva in libreria grazie al figlio Hermann Simon - che ha convinto la madre a lasciare i suoi ricordi, narrati tutti d'un fiato, in 77 cassette, fino al maggio 1945 - e della giornalista Irene Stratenwerth che ha lavorato sull'ampio materiale venuto fuori dalla trascrizione (oltre 900 pagine). L'ultima registrazione è di pochi mesi prima della morte, avvenuta il 16 settembre 1998. Diventata professore ordinario di storia della civiltà e letteratura del mondo antico, la Simon è rimasta per sua scelta a Berlino dove ha spostato un suo compagno di scuola, emigrato in Palestina, Heinrich Simon. "Mia madre fu sempre convinta che fosse stato il caso a consentirle di sopravvivere" spiega nella postfazione Hermann Simon che spesso si è chiesto se dopo un'esperienza del genere si può tornare ad avere una vita normale e quali paure rimangono. Ma ci è voluto altro che il caso per sopravvivere. "Quello che sto vivendo non ha la benchè minima influenza su di me, sulla mia anima, sulla mia persona. Devo soltanto sopravvivere a tutto ciò" racconta nel libro la Simon ammettendo: "questi pensieri mi diedero un pò di conforto". E nel parlare delle sue memorie, ricorda il figlio che ha condotto molte ricerche su nomi, indirizzi e biografie, la madre una volta gli disse: "Non ho voluto utilizzare nessun'altra fonte che non fosse il mio ricordo personale".
    Dal giugno del '22, quando sfugge all'arresto della Gestapo, alla fine del 1945, Marie Simon vive quasi tre anni di vagabondaggi, nascondigli, fughe, fame, freddo, povertà. Cerca di sposare un giovane bulgaro per raggiungere la Palestina e prima della fine della guerra convive con un operaio bulgaro in casa di un'anziana signora. Le servono documenti falsi, persone disposte ad aiutarla e le trova, anche tra nazisti incalliti che non sanno che è ebrea come "il direttore di gomma" con grosse difficoltà a camminare e a dialogare, se non usando un'accozzaglia incomprensibile di parole. La paura c'è ma anche il sangue freddo e a volte la capacità di prendere le distanze, anche dalla comunità ebraica, almeno psicologicamente. Il racconto è pieno di incontri, di cui a volte è difficile tenere le fila, di personaggi incredibili, artisti del circo, medici, comunisti, persone senza le quali Marie non si sarebbe salvata la vita e che ricorda con riconoscenza: "per i regali veramente grandi che ci vengono fatti non ringraziamo mai abbastanza" anche se, senza la sua determinazione, non sarebbe stato possibile salvarsi.
   

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