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Beah, dopoguerra non è assenza conflitto

Beah, dopoguerra non è assenza conflitto

Il nuovo romanzo dell'autore di 'Memorie di un soldato bambino'

ROMA, 15 maggio 2014, 13:00

Mauretta Capuano

ANSACheck

La copertina del romanzo di Ishmael Beah - RIPRODUZIONE RISERVATA

La copertina del romanzo di Ishmael Beah - RIPRODUZIONE RISERVATA
La copertina del romanzo di Ishmael Beah - RIPRODUZIONE RISERVATA

    ISHMAEL BEAH, 'DOMANI SORGERÀ IL SOLE' (NERI POZZA, PP 271, EURO 16,50). E' lo scrittore africano contemporaneo più letto ma Ishmael Beah si sente sempre "un ragazzo di villaggio" e ci tiene molto alle sue origini che hanno influito profondamente sul suo modo di raccontare. "Sono immerso nella tradizione orale dello storytelling e cerco di portare nella mia scrittura la ricchezza linguistica del mio Paese. In Sierra Leone abbiamo 15 lingue e tre dialetti. Io sono cresciuto parlandone sette" spiega all'ANSA lo scrittore, 34 anni, che, da quando ne aveva 18, vive a New York ma torna sempre nel suo paese d'origine di cui ha raccontato il terrore del 1993, nel libro che lo ha reso famoso: la sua biografia "Memorie di un soldato bambino". Nel suo nuovo romanzo 'Domani sorgerà il sole (Neri Pozza, pp 271, euro 16,50), con cui è stato al Salone del Libro di Torino appena concluso, racconta che cosa si prova a ricominciare a vivere in luoghi devastati da conflitti, dove le madri hanno visto le pallottole trafiggere i propri figli. "Il mio messaggio è che il dopoguerra non significa assenza di conflitto. Molti pensano che una volta finita la devastazione tornino la pace, il bello e il buono ma non è affatto così" dice Beah. "Bisogna osservare fino in fondo - continua - cosa significa il periodo del postconflitto. Si presentano nuove difficoltà e sfide che potrebbero essere una nuova minaccia e potrebbe risuccedere quello che è già accaduto".
    Il momento del ritorno a casa dopo una guerra è anche quello in cui il sole splende di nuovo, in cui i vecchi si trovano con i giovani, in cui si sta a tavola tutti insieme, "è un periodo di speranza e rinascita ma anche in cui ognuno deve imparare di nuovo a vivere e non è detto che la vita sia quella di prima" sottolinea lo scrittore. Anche il problema dei bambini soldato "possiamo dire che sia finito - spiega - nel momento in cui non c'è più un conflitto, ma è rimasta la generazione di quelli che erano bambini e ora sono giovani uomini e donne che si portano dentro un trauma, la violenza" sottolinea Beah.
    "Tante di queste persone hanno avuto una riabilitazione psico-sociale ma manca una cosa, non tutte quelle persone hanno ricevuto opportunità" spiega ed è proprio in questa parola "opportunità" la chiave della rinascita secondo Beah che è nato nel 1980 in Sierra Leone, nel 1998 si è trasferito negli Stati Uniti e, dopo aver terminato gli studi alla United Nations International School di New York, nel 2004 si è laureato in scienze politiche all'Oberlin College ed è membro dell'Human Rights Watch Children's Rights Division Advisory Commitee. "Tante persone non riescono ad uscire dalla miseria. La povertà endemica è stata fra le cause scatenanti della guerra e, se restiamo nella medesima situazione, chiunque potrebbe approfittarne di nuovo e non vale - sottolinea - solo per la Sierra Leone". "Sono nato - racconta Beah - in un posto dove non c'era acqua corrente ed elettricità, dove è scoppiata una guerra in cui ho perso tutto. Se quando vivevo nel mio villaggio, dove la gente andava a caccia e a pesca per mangiare, mi avessero detto che un giorno sarei diventato uno scrittore famoso davvero non ci avrei creduto. Questo dimostra che tutti ce la possono fare e che per sviluppare i propri talenti, quali che siano, bisogna avere delle opportunità".
    L'autore di 'Domani sorgerà il sole' tornando spesso nella sua terra d'origine "ha il polso della situazione che è buona dal punto di vista della sicurezza però il progresso è lento. E poi la leadership del paese non è quella di cui ci sarebbe bisogno".
    E più in generale, "uno dei problemi della mia generazione e anche di quella successiva è che le classi dirigenti non fanno quello che dovrebbero per i giovani" ma sono, continua, "ottimista. La mia generazione è in grado di impedire che certe cose si ripetano, basterebbe che i governi dessero loro qualche possibilità in più".
   

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