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Torna O Lost, classico Usa di Wolfe

Torna O Lost, classico Usa di Wolfe

Dietro una saga familiare l'epica di un popolo attraverso il '900

ROMA, 18 aprile 2014, 13:36

Paolo Petroni

ANSACheck

- RIPRODUZIONE RISERVATA

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THOMAS WOLFE, 'O LOST - STORIA DI UNA VITA PERDUTA' (ELLIOT, PP.764, 29,00 EURO - Traduzione di Maria baiocchi e Anna Tagliavini).
    A quasi 100 anni dalla prima edizione del 1929, uscita col titolo 'Angelo guarda il passato', che ebbe notevole successo anche in Italia nel dopoguerra, ecco che il fortunato romanzo epico di Thomas Wolfe ritrova la sua stesura originale anche in traduzione italiana, dopo il rumore suscitato da quella americana della University of South Carolina Press del 2000.
    Naturalmente, davanti a questa magmatica e avvincente opera di 750 pagine dalle ambizioni epiche e dallo stile esuberante con accensioni liriche e una varietà di linguaggi (dal teatro alla canzone, dall'introspezione al grande racconto) tutta incentrata sull'io del protagonista Eugene Gant, il primo pensiero va alle due traduttrici che hanno fatto davvero un buon lavoro, nel restituirci un romanzo 'fuori misura' e poi 'bizzarro, imponente, smodato', oltre che 'affascinante', come lo definisce Riccardo Reim nella sua introduzione.
    Il romanzo, a suo tempo, ebbe la fortuna-sfortuna di incontrare quel grande, storico editor che fece la fortuna di autori come Fitzgerald e Hemingway, Max Perkins, che ne intuì le qualità, ma cercò di renderlo più facilmente appetibile all'editore e ai lettori, tagliandolo abbondantemente e trovandogli il nuovo titolo, per arrivare a quella versione che, ancora oggi, è la più letta in America e, negli anni '50, ebbe anche una applaudita versione teatrale che, da noi, portò in scena Luchino Visconti (con, tra gli altri, Lilla Brignone, Corrado Pani, Adriana Asti, Annibale Ninchi). Ora, avendo in mano la versione originale, si scopre, per esempio, che la vicenda che precede la nascita del protagonista nell'emblematico anno 1900 (lo stesso dell'autore), partendo dalla Guerra di Secessione, ha pagine belle e forti tra le migliori di tutto il libro, anche se poste quasi fuori della storia principale vera e propria della saga famigliare che, come in molti dei grandi classici della letteratura nordamericana, diviene epica di un popolo e una nazione, con la sua pervicace costruzione di una ricchezza attraverso tre generazioni, col gusto avido dell'essere e dell'arricchirsi, di cui si evidenziano forza e contraddizioni nella ferita dell'animo dell'ultimo discendente, appunto Eugene. Questi vive dolorosamente un'esistenza segnata dalla figura della madre Julia, da avvenimenti di ogni genere, da lutti e amori, coinvolgenti e sbagliati, sempre con l'ansia, il desiderio impossibile di sfuggire all'abbraccio soffocante della famiglia.
    Tanto è gretta e guidata dalla smania di possesso la madre, tanto il marito Oliver, e padre di Eugene, è invece un sognatore, uno scultore, soprattutto di monumenti per i cimiteri, che annega nell'alcol il non riuscire a creare un'opera bella come la statua di un angelo vista da ragazzo. E poi ci sono fratelli e sorelle, come la povera Mabel, l'unica capace di dare un po' di pace al padre e quindi impossibilitata a farsi un avita propria.
    Ci vuole un po' di ostinazione per arrivare a farsi coinvolgere da queste pagine, non sempre facili, eppure che pian piano catturano il lettore e, alla fine, con i loro mille personaggi, le divagazioni, i fatti e le notazioni anche quotidiane, meritano l'attenzione che hanno richiesta, con tutti loro pregi e difetti, i caratteri forti di questo scrittore morto a 38 anni nel 1938, lasciando ''un grande silenzio dietro di sé'', come scrisse all'epoca Scott Fitzgerald.
   

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