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Aria, diario dal mondo degli italiani nella pandemia

Aria, diario dal mondo degli italiani nella pandemia

Dal 29/12 su RaiPlay la docu-serie dedicata al primo lockdown

ROMA, 29 dicembre 2020, 20:06

di Marzia Apice

ANSACheck

Aria, diario dal mondo degli italiani nella pandemia - RIPRODUZIONE RISERVATA

Aria, diario dal mondo degli italiani nella pandemia - RIPRODUZIONE RISERVATA
Aria, diario dal mondo degli italiani nella pandemia - RIPRODUZIONE RISERVATA

Il valore della testimonianza al di là del clamore mediatico di chi, nei mesi della pandemia, ha fatto i conti con il corpo e la mente bloccati, e con quel respiro più ampio continuamente "minacciato" dal virus e sempre cercato per riprendere fiato, per non sentirsi in gabbia. Colpisce l'intensità dello sguardo di tanti italiani come noi, che l'emergenza sanitaria ha reso più fragili, eppure mai immobili, nella docu-serie "Aria", dal 29 dicembre in esclusiva su RaiPlay, a cura di Andrea Porporati, Costanza Quatriglio e Daniele Vicari, insieme a Chiara Campara, Francesco Di Nuzzo, Flavia Montini, Pietro Porporati, Greta Scicchitano.

Prodotta da Minollo Film e articolata in 6 puntate da 25 minuti, "Aria" è una sorta di diario - senza filtri e non mediato - privato e collettivo al tempo stesso, quasi una finestra aperta nelle vite di cui alcuni nostri connazionali che, sparsi in varie parti d'Italia e del mondo, hanno realizzato autonomamente materiali video per raccontare la prima ondata del Coronavirus dal di dentro. Ci sono Daniele Sciuto, medico, e sua moglie Yasmin Genovese, ostetrica, che lavorano nell'ospedale kenyota di Samburu County e si preparano ad arginare l'onda d'urto del virus; c'è il clown Angelo Patti, che resta bloccato con il suo circo ormai vuoto a Caltanissetta; e ancora, Greta Pesce, studentessa che, appena atterrata in Cina, è obbligata alla quarantena in un albergo di Pechino, e la famiglia Santonicola, che non può lasciare Fortaleza e rientrare in Italia a causa della pandemia: tra sogni e paure, speranze e smarrimento, tutti si raccontano con sincerità, alternando la stanchezza e lo sconforto alla speranza, in una docu-serie che emoziona e sorprende, grazie a un coro di voci e punti di vista diversi.

Iniziata a marzo, allo scoppiare dell'emergenza sanitaria, e terminata a luglio, la lavorazione di "Aria" (i cui proventi saranno devoluti all'Istituto Nazionale Malattie Infettive Lazzaro Spallanzani) è stata lunga e complessa: le riprese sono state auto-eseguite dai testimoni in condivisione e costante contatto con il gruppo di lavoro guidato dal team Porporati-Quadriglio-Vicari, che si è dato da fare non solo per scovare storie e persone (cercati con ogni mezzo, dalle rete di conoscenze private ai giornali ai social network) ma anche per dare indicazioni pratiche su come girare i vari materiali con mezzi non professionali. Il risultato convince proprio per la sua "verità", in una narrazione incredibilmente "armoniosa", che scalfisce la superficie e arriva in profondità. "Il punto di vista di tutte queste persone ha dato al racconto un respiro collettivo impossibile da dare se lo avessimo scritto, tutti i protagonisti vanno d'accordo come in una orchestra", dice Andrea Porporati, "non avevamo idea di cosa avremmo trovato, anche perché queste persone dovevano riprendersi da sole. Alla fine il film lascia una sensazione di provvisorio lieto fine: questi testimoni vitalisticamente hanno vissuto un momento finale di rinascita, da un lato c'è la presa di coscienza e dall'altro la possibilità di tornare a godersi il tempo che aveva ricominciato a scorrere".

"Con Aria abbiamo potuto prendere in mano il nostro mestiere e spingerlo un po' oltre", prosegue Daniele Vicari, "fin da subito abbiamo avuto la sensazione che gli italiani abbiano reagito alla pandemia con un'energia impressionante, poi però purtroppo riversata sui media solo con fenomeni di costume. In realtà c'era gente che si muoveva, dentro e fuori l'Italia. Noi abbiamo cercato di restituire ai testimoni lo strumento del racconto audiovisivo: è faticoso raccontarsi, ed è una fatica che fa parte del senso stesso di fare cinema documentario". "Con questo racconto in 6 puntate interpretiamo bene il senso del servizio pubblico ma offriamo anche una narrazione nuova, senza nessuna notizia eclatante ma con un'immersione profonda nella vita delle persone", aggiunge Elena Capparelli, direttrice di RaiPlay, "inizialmente avevo dubbi sul nome Aria, ma dopo aver visto le immagini ho capito che invece era giusto. Parliamo dell'aria che c'è mancata e anche di un grido verso l'aria da ritrovare. Il covid qui è un sottofondo, siamo dentro la vita di queste persone a cui ci siamo affezionati. C'è già da tempo la domanda crescente di una fruizione nuova in digitale che il virus ha solo accelerato: RaiPlay interpreta questo bisogno nuovo".

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