Una delle serie più amate e più discusse degli ultimi anni. Nella prima stagione i due detective protagonisti, all'opera sul complicato caso di un serial killer, si rilanciano articolati e allusivi dialoghi e Matthew Mc Conaughey attinge a piene mani da aforismi nietzschiani che esplodono sul muso del suo compagno Woody Harrelson, mentre la forza espressiva del paesaggio (vegetazione, stagni e dimore abbandonate della Louisiana) e la lunghezza delle inquadrature, si offrono con evidenza allo spettatore come gesti di alta densità cinematografica in grado di rendere ancor più intenso il sapore acre del noir.
I cui principi base sono: il destino ce l'ha proprio con te, non ti puoi fidare di nessuno (soprattutto amici e amanti) e la tua vita è dominata da una ossessione che sconvolge la percezione del tempo. In realtà la serie la tira per le lunghe, un po’ troppo, e il “New Yorker” ha tirato le orecchie all'ideatore, Nic Pizzolatto, e al regista Cary Fukunaga (messosi in luce tra i film indipendenti del Sundance) perché i personaggi femminili sarebbero assi più esili di quelli maschili. Nella seconda (con Colin Farrell, Rachel McAdams, Vince Vaughn) ambientata in una Los Angeles il cui livello di corruzione e depravazione è un omaggio ai romanzi di Ellroy, l’ autoindulgenza dello stile ha definitivamente la meglio sulla narrazione e il mood decadente e nichilista corrode l’ intreccio e la spinta della tensione del thriller. Nonostante ciò, insieme a Fargo, che cambia allo stesso modo interpreti e soggetto ad ogni stagione, rimane, ad oggi, l’ esempio recente più interessante di “autorialitá” seriale.
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