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Curran porta in scena Fedra, Ippolito e Teseo a Siracusa

Curran porta in scena Fedra, Ippolito e Teseo a Siracusa

Molti applausi per la prova di attori sul bel testo di Euripide

ROMA, 13 maggio 2024, 17:37

Redazione ANSA

ANSACheck

- RIPRODUZIONE RISERVATA

Una grande testa, un grande viso che riverbera la vicenda, ora bianco sorridente, poi infiammato dalla passione, quindi ustionato dal rimorso e dalla colpa sino a ridursi a un teschio e spaccarsi, è l'unico arredo al centro della scena, chiusa alle spalle dal palazzo reale, un'impalcatura a tre piani, di questo spettacolo molto applaudito e intitolato 'Fedra', forse nome più accattivante per il pubblico, pur trattandosi di 'Ippolito' di Euripide, come da sottotitolo, con la regia di Paul Curran, scene e costumi di Gary McCann, secondo appuntamento della 39/a stagione classica al Teatro Greco di Siracusa. Una tragedia imperniata sulla incontrollabile forza eversiva e devastante dell'eros, quella che come una febbre ha colpito appunto Fedra, la quale, emblema dell'amore fisico, vedrà il suo corpo, dopo il suo suicidio fuori scena, riportato da Curran al centro dell'azione sino alla fine. A farla star male e digiunare da giorni, invocando di essere portata "nei boschi, fra i pini, dove corrono i cani", è il desiderio devastante per il giovane Ippolito, figlio di suo marito, il Re Teseo e di un'altra donna, suscitatole da Afrodite che vuole punire il giovane del suo voto di castità. Ippolito infatti è uomo devoto agli dei e alla vergine Artemide innanzitutto, cui ha dedicato la sua esistenza, quindi respingerà con sdegno la proposta che gli verrà dalla Nutrice di Fedra di violare il letto del padre e tradire lui e il proprio giuramento. Due realtà, due scelte, tra purezza e eros, tragicamente a contrasto avendo ognuna una verità, un proprio giusto fondamento. Un testo di alta intensità, ottimamente tradotto da Nicola Crocetti, che prima ci fa entrare e vivere il dolore e l'angoscia di Fedra, anche col bel confronto drammaturgico con la Nutrice, e si sposta poi nella disperazione di Teseo e quindi nell'estremo incontro con Ippolito morente e oramai scagionato dall'intervento di Artemide in persona, che arriva anche a consolarlo del suo destino, scusandosi del fatto che un dio non può interferire nei piani di un altro dio, altrimenti non avrebbe mai permesso a Afrodite di portare a termine il suo piano malefico.
    Un dramma quindi umanissimo e di grande teatralità, affidato sostanzialmente all'interpretazione degli attori, tra i quali spicca qui l'accalorato e raziocinante scandire con incisiva musicalità il proprio dire della Nutrice di Gaia Aprea, l'impeto e la coerenza giovanile di Riccardo Livermore, del resto i più applauditi dal pubblico la sera della prima, col Teseo rabbioso e dolorante di Alessandro Albertin e, con loro, la Fedra di Alessandra Salamida, l'Artemide di Giovanna Di Rauso e l'Afrodite di Ilaria Genatiempo.
   

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