Una grande testa, un grande viso che
riverbera la vicenda, ora bianco sorridente, poi infiammato
dalla passione, quindi ustionato dal rimorso e dalla colpa sino
a ridursi a un teschio e spaccarsi, è l'unico arredo al centro
della scena, chiusa alle spalle dal palazzo reale,
un'impalcatura a tre piani, di questo spettacolo molto
applaudito e intitolato 'Fedra', forse nome più accattivante per
il pubblico, pur trattandosi di 'Ippolito' di Euripide, come da
sottotitolo, con la regia di Paul Curran, scene e costumi di
Gary McCann, secondo appuntamento della 39/a stagione classica
al Teatro Greco di Siracusa.
Una tragedia imperniata sulla incontrollabile forza eversiva
e devastante dell'eros, quella che come una febbre ha colpito
appunto Fedra, la quale, emblema dell'amore fisico, vedrà il suo
corpo, dopo il suo suicidio fuori scena, riportato da Curran al
centro dell'azione sino alla fine. A farla star male e digiunare
da giorni, invocando di essere portata "nei boschi, fra i pini,
dove corrono i cani", è il desiderio devastante per il giovane
Ippolito, figlio di suo marito, il Re Teseo e di un'altra donna,
suscitatole da Afrodite che vuole punire il giovane del suo voto
di castità. Ippolito infatti è uomo devoto agli dei e alla
vergine Artemide innanzitutto, cui ha dedicato la sua esistenza,
quindi respingerà con sdegno la proposta che gli verrà dalla
Nutrice di Fedra di violare il letto del padre e tradire lui e
il proprio giuramento. Due realtà, due scelte, tra purezza e
eros, tragicamente a contrasto avendo ognuna una verità, un
proprio giusto fondamento.
Un testo di alta intensità, ottimamente tradotto da Nicola
Crocetti, che prima ci fa entrare e vivere il dolore e
l'angoscia di Fedra, anche col bel confronto drammaturgico con
la Nutrice, e si sposta poi nella disperazione di Teseo e quindi
nell'estremo incontro con Ippolito morente e oramai scagionato
dall'intervento di Artemide in persona, che arriva anche a
consolarlo del suo destino, scusandosi del fatto che un dio non
può interferire nei piani di un altro dio, altrimenti non
avrebbe mai permesso a Afrodite di portare a termine il suo
piano malefico.
Un dramma quindi umanissimo e di grande teatralità, affidato
sostanzialmente all'interpretazione degli attori, tra i quali
spicca qui l'accalorato e raziocinante scandire con incisiva
musicalità il proprio dire della Nutrice di Gaia Aprea, l'impeto
e la coerenza giovanile di Riccardo Livermore, del resto i più
applauditi dal pubblico la sera della prima, col Teseo rabbioso
e dolorante di Alessandro Albertin e, con loro, la Fedra di
Alessandra Salamida, l'Artemide di Giovanna Di Rauso e
l'Afrodite di Ilaria Genatiempo.
Riproduzione riservata © Copyright ANSA