(di Paolo Petroni)
Un raffinato gioco di luci, di
controluce da teatro delle ombre, di magiche sfumature a
cambiare sensazioni e stati d'animo, di immagini poetiche per
evidenziare le varie anime, la moltitudine di personaggi che
hanno abitato lo scrittore e poeta portoghese Fernando Pessoa
(1888- 1935) come ce lo mostra Bob Wilson nell'ultima sua
creazione, ''Pessoa - Since I've been me'', che ha debuttato in
prima mondiale e si replica sino al 12 maggio al Teatro della
Pergola di Firenze, che glielo ha commissionato assieme al
Théàtre de la Ville di Parigi e coprodotto con lo Stabile del
Friuli Venezia Giulia, quello di Bolzano, il Sao Luiz di Lisbona
e il Festival d'Automne di Parigi col Téàtre de la ville de
Luxembourg.
Pessoa, come diceva, ''ognuno di noi è più di uno, è molti, è
una prolissità di se stesso'' e così dava vita a opere usando
non pseudonimi, ma creando veri e propri alter ego, eteronimi e
qui lo troviamo seduto in proscenio mentre le luci sono accese e
gli spettatori entrano e cercano il proprio posto. Alle sue
spalle il mare su cui tramontano tanti dischi rossi di sole
quanti sono i suoi alias che entrano poi in scena con movenze da
marionette, da cartoni animati nati da qualcosa che si infrange,
come un vetro, tutti neri su uno sfondo completamente bianco. E
il sottofondo, la colonna sonora di Nick Sgar di rumori più o
meno simbolici, ma sostanzialmente disturbanti, inquietanti,
scoppi, spari, stridii, bassi rombi, a sottolineare la
difficoltà di vivere, le ambiguità, gli straniamenti del poeta
che si dice disinteressato all'interiorità, che vive solo nel
momento presente, abitato da un sentimento di desolazione da cui
nascono pensieri quasi oracolari, riflessioni ambigue o
improvvise illuminazioni, lampi enigmatici e domande senza
risposte o risposte senza domande.
Ecco allora che il testo dello spettacolo è una sorta di
antologia di citazioni (drammaturgia di Darryl Pinckney), che
non costruiscono alcuna drammaturgia ma si susseguono nella loro
varietà sorprendente e assieme sostanziale ripetersi e che
vengono riversate sul pubblico perché ci si specchi, si specchi
in quel malessere che è quello della modernità e dei nostri
giorni, tra razionalità paradossale e anarchia speculativa. Un
malessere tragico ma sul filo del comico specie in questa
lettura performance creata da Wilson con i suoi giochi da
architetto razionalista di luci e spazi, da cui nascono visioni,
vere e proprie epifanie di grande magia, di suggestione poetica,
con un filo di ironia che emerge a tratti e tutto di una
eccezionale perfezione teatrale nel disegnare spazi, movimenti e
luci, quella che caratterizza sempre i lavori di Wilson.
I sette attori, diciamo Pessoa e sei suoi eteronimi, nei
costumi di Jacques Reynaud eccoli essere molteplici anche nella
differenza di nazionalità e di lingue, ognuno la sua, in cui si
esprimono e vanno dalla ben nota Maria de Medeiros portoghese,
alle radici africane della francese Aline Belibi, dal brasiliano
Rodrigo Ferreira all'italo-albanese Klaus Martini, dagli
italiani Sofia Menci e Gianfranco Poddighe alla
franco-brasiliana Jnaina Suaudea, tutti bravissimi in questa
straniante recitazione, anche danzando e cantando. Eccoli
all'inizio in un parco con tre cipressi, oppure seduti a sette
tavole con tovaglie che tenute per un pizzo si libreranno come
fantasmi mentre il bianco e nero si muta e viene invaso da un
rosso violento (''C'è un colore che mi perseguita''), e ancora
che brancolano, pile in mano, nella nebbia del fumo teatrale,
quindi in una barca sulla riva o in mezzo al mare mentre il
viaggio si avvia alla fine: ''Passo passo / il tempo arriva /
per dir buonanotte a quei sogni / e come un agnello io dormirò /
così tranquillo e completo / Since I've been me - sin da quando
sono io''.
Uno spettacolo di cui sono protagoniste le parole e che
vuole entrarti nella testa anche con le sue ripetizioni
multiple, dei pensieri e di certe immagini, tenendosi sempre
alto e implacabile nel seguire la propria linea espressiva,
elegante, stentoreo, così da venir a lungo applaudito senza
farsi domande, adeguandosi al Pessoa che stigmatizza ''la
presunzione infantile di chiedere alle cose il suo
significato''.
Dopo Firenze, lo spettacolo sarà a Parigi, al Théâtre de la
Ville, dal 5 al 14 novembre, prima di iniziare una tournée
internazionale, che tornerà in Italia il prossimo anno,
debuttando al Rossetti di Trieste dal 13 al 16 febbraio 2025.
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