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RomaEuropa: esplosive Spagna e India di Kahn e Galvan

RomaEuropa: esplosive Spagna e India di Kahn e Galvan

Spettacolo virtuosistico e coinvolgente di gran tensione

ROMA, 25 settembre 2014, 16:08

Paolo Petroni

ANSACheck

TOROBAKA - RIPRODUZIONE RISERVATA

TOROBAKA - RIPRODUZIONE RISERVATA
TOROBAKA - RIPRODUZIONE RISERVATA

    La grande danza ha appassionati che le riservano un tifo quasi da stadio e così è stato anche alla fine dell'eccezionale spettacolo di due riconosciuti maestri, Akram Kahn e Israel Galvan, che hanno messo a confronto e fuso i propri linguaggi, tradizioni e culture grazie al festival RomaEuropa, che hanno aperto il 24 settembre all'auditorium di Via della Conciliazione col loro ''Torobaka'', che si replica sino a domani.
    Sarebbe facile etichettare questa intensa performance come fusion, visto l'incontro tra il Kathak millenario di origine indiana appreso da Kahn dal maestro Sri Pratap Pawar e il fascinoso e antico flamenco che il grande Mario Maya ha trasmesso a Galvan, ma sarebbe assolutamente superficiale.
    Il gioco, la sfida, il confronto e soprattutto la complicità che i due artisti mettono in campo ha quelle radici e ne esprime tutta la forza, ma assieme è decantata in certe essenzialità, provocazioni, ironie e stilizzazioni della danza contemporanea, trasformandosi di qualcosa di grande modernità, oltre che in un'esibizione di estrema abilità ritmica, fisica, che si fa tutt'uno con la musica, le percussioni che la sostengono.
    Kahn e Galvan sono in tunica e pantaloni neri su un palcoscenico nudo e si esibiscono all'interno e attorno a un cerchio disegnato a terra dalle luci e si presentano in un duetto in cui protagoniste sono le percussioni dei piedi e il battere delle mani, subito molto diversi tra i due, uno con le scarpe e i tacchi da flamenco, l'altro senza e poi, semmai, con sonagliere d'argento alle caviglie, ed è come se si richiamassero e assieme si fidassero sulla propria peculiare espressività, che pure rivela un qualcosa di profondamente comune, c'è chi dice grazie alle migrazioni dei gitani dall'India verso Ovest. Così il confronto è altero, orgoglioso e assieme ha momenti ironici e abbracci di bella forza emotiva, col ritmo che uno crea con le mani sulle spalle dell'altro.
    Poi ci sono i loro assoli, pezzi di assoluta bravura, in cui il gioco delle braccia e le mani diventano l'elemento dinamico, più flessuoso in uno, più con geometrie orientali nell'altro, permettendo a Galvan di tirar fuori anche tutta la sua vena ironica, comica e quasi pop, grazie a improvvisi stop, a movimenti imprevisti, a un accompagnamento sonoro e vocalizzi appositi, durante i quali si percepisce persino un ''telefono...
    casa'' col dito alzato alla ET. Più passionale e in alcuni momenti drammatico Kahn con la mimica quasi di un insetto, danzando a quattro zampe, e poi con rotazioni quasi da derviscio, sempre sostenuto anche lui da voce e strumenti.
    Hanno infatti un ruolo essenziale in scena innanzitutto B.C.
    Manjunath, maestro di tablas e dello stile Mridanga, con Bobote, il percussionista abituale di Galvan, con i quali sono il controtenore David Azurza e Christine Labute, allieva di Giovanna Marini, che danno a questo spettacolo gli echi e le sonorità mediterranee, dal canto gregoriano ai cori sardi e siciliani o alle canzoni della guerra civile spagnola, cui si alterna la sillabazione indiana, il gioco di vocalizzi, interiezioni. Ed è la musica col movimento che crea la tensione crescente, il ritmo che non viene mai meno, in un crescendo virtuoso e inebriante che tiene il pubblico col fiato sospeso sino alla fine, quando applausi infiniti e urla travolgono il teatro.
   

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