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Mumford and Sons, elettrici o acustici, più rock

Mumford and Sons, elettrici o acustici, più rock

Tutto esaurito all'Arena di Verona per prima data italiana

VERONA, 30 giugno 2015, 15:40

Federico Pucci

ANSACheck

Final Day -Glastonbury Festival 2013- Editors © ANSA/EPA

Final Day -Glastonbury Festival 2013- Editors © ANSA/EPA
Final Day -Glastonbury Festival 2013- Editors © ANSA/EPA

  "È una continuazione logica di quello che siamo e che abbiamo fatto: non siamo mai stati davvero una band folk, ora siamo solo un po' più rock". Si spiegano così Ted Dawne e Ben Lovett, bassista e tastierista dei Mumford and Sons, parlando alla stampa prima della data sold out di ieri sera all'Arena di Verona. Il gruppo londinese, reduce dalla pubblicazione a maggio di un disco che ha stupito per l'abbandono di grancassa, banjo e contrabbasso in favore di batteria e strumenti elettrici, si è presentato stasera per la prima di tre date in Italia (oggi all'Ippodromo delle Capannelle di Roma e domani mercoledì 1 luglio al Pistoia Blues). 'Wilder Mind', il terzo disco di Marcus Mumford e "figli", ha proposto un aspetto diverso del gruppo, fino a poco fa immerso nell'immaginario dell'America profonda benché nato sulla sponda opposta dell'Atlantico. Ma dietro quella scelta folk - spiega Lovett - c'era anche un'esigenza pratica: "Andare in tour senza batteria fin dagli esordi ci permetteva di fare più date, siamo sempre stati molto pragmatici". Dietro le dodici nuove tracce, eseguite quasi al completo nello show di stasera, c'è invece un felice incontro con Aaron Dessner, chitarrista e autore dei The National: "Ci siamo incontrati al Lollapalooza di un paio di anni fa ed è scattata subito un'amicizia sincera: nel suo studio di Brooklyn ci ha insegnato a scrivere per la prima volta tutti insieme in un processo creativo nuovo, ne sono venute fuori 40 canzoni". A sfrondare il tutto ci ha pensato il produttore James Ford ("Un sogno lavorare con lui che ha prodotto alcuni dei nostri dischi preferiti") che ha aiutato la band a perseguire suoni alternative rock, più vicini ad Arcade Fire, The National o Coldplay. "Certamente il sound di questo album sembrerà più contemporaneo - prosegue la band - ma dietro non ci sono manovre a tavolino imposte da qualcuno, siamo sempre noi: dopotutto si può essere contemporanei anche suonando strumenti acustici, purché si suoni quello che si ama". Tutt'altro che appesi al chiodo, questi strumenti acustici che hanno fatto la fortuna del gruppo spuntano fuori spesso in un live che per metà ripercorre i fasti di 'Sigh No More' e soprattutto di 'Babel', album che ha consacrato il quartetto inglese facendogli ottenere anche un Grammy come miglior album nel 2013: "Abbiamo provato a riarrangiare i pezzi vecchi, che in alcuni casi funzionano anche in versione elettrica, ma non sono stati ricevuti bene e abbiamo deciso di riproporli come li conoscono i fan: noi siamo qui per loro, non per noi stessi", dice Lovett. Il dubbio che il pubblico di Verona potesse accogliere la 'svolta' elettrica dei Mumford and Sons con freddezza - come 50 anni fa capitò a Bob Dylan - del resto è presto fugato: subito dopo un inizio sfolgorante con due classici della fase acustica come 'Lovers' Eyes' e 'I Will Wait' che fanno esplodere l'Arena, brani recenti come 'Snake Eyes' e la nuova title track 'Wilder Mind' sono accolti dai cori e dal calore dei 12mila presenti. I vecchi panni in flanella e quelli da rock band convivono insomma in un set pensato esplicitamente come un viaggio nella storia del gruppo, con una scaletta definita dal gruppo ancora in costruzione. In questo contesto brani storici come 'Thistle and Weeds' o 'Dust Bowl Dance', più ancora di hit acclamatissime come 'Awake My Soul', 'Lover of the Light' e 'Babel', fanno da cerniera fra i vecchi e i nuovi Mumford and Sons, quattro inglesi sempre affascinati dal rock americano e allergici alle etichette: "In futuro potremmo fare anche hip hop, nulla ce lo vieta: la cosa più triste sarebbe chiudersi in un genere e non ricercare mai". E il successo live del nuovo corso dei Mumford and Sons ha insegnato che cambiare musica non è sempre un pericoloso salto nel vuoto.
   

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