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Gino Paoli, la libertà costa fatica

Gino Paoli, la libertà costa fatica

Cantante si racconta, quando Montanelli mi disse 'Ah, il poeta!'

TORINO, 13 maggio 2014, 14:00

Redazione ANSA

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    I libri sono una cosa preziosa per Gino Paoli che si racconta ne 'I semafori rossi non sono Dio' (Rai Eri), una conversazione con il giornalista Lucio Palazzo con cui è venuto al Salone del Libro di Torino.
    "E' una signora di 400 anni fa che può ancora parlare con te" dice parlando del libro l'autore di canzoni come 'La gatta', 'Il cielo in una stanza' e 'Senza fine'. "Quando sono andato via di casa, a 18 anni, l'unica cosa che mi sono portato sono stati i libri che erano parte di me: il Cyrano di Bergerac di Rostand, Martin Eden di Jack London e i 'Tre camerati' di Erich Maria Remarque di cui ho letto tutto" racconta Paoli a cui piacerebbe scrivere un romanzo. Ma "proprio per la mia natura essenziale, scrivere un libro diventa catastrofico. La canzone è un flash emozionale che deve essere il più essenziale possibile" spiega prima dell'affollatissimo incontro, condotto da Paolo Giordano, allo stand Rai.
    Il dopoguerra, l'amore al casino Castagna, il tentato suicidio per cui vive con una pallottola vicino al cuore, Tenco, Grillo, Renzo Piano, il rapporto con le donne, Stefania Sandrelli, Ornella Vanoni, la sinistra, il Pci, ne 'I semafori rossi non sono Dio', con prefazione di Antonello Piroso, c'è tutto questo e molto di più, fino a quello che accade oggi.
    "Valuto le persone per i risultati che ottengono, non per le parole che dicono" spiega. E questo vale "anche per il presidente del Consiglio Matteo Renzi: sono in attesa e credo lo sia tutta l'Italia, 64 milioni di persone circa, di vedere se quello che dice poi si farà". Mentre del suo amico Beppe Grillo con cui anni fa doveva prendere una villa sul mare, dice: "Rabbrividisco adesso al pensiero. Forse avrei insistito per non farlo scendere in politica. Non hai più una vita privata". Nel libro-intervista anche la sua sconfinata ammirazione per Montanelli che ad una sua riservatissima festa di compleanno disse a Paoli: "Ah, il poeta!" ed è stata, ricorda il cantautore "una delle più belle cose della mia vita. Se una persona che stimo mi dice una cosa così mi butto dalla finestra. Montanelli mi piaceva per il suo buon senso e competenza".
    In generale, "il libro - ci tiene poi a sottolineare Paoli - è una fatica che premia. All'inizio è difficile la lettura, ma poi diventa un volano". E di come si è raccontato lui a Lucio Palazzo sottolinea: "Non ho due facce. Parlo per quello che sono. Ma, non è vero che ricordi la realtà, la reinventi".
    Ottant'anni a settembre, il cantautore sembra un ragazzo che parla ai ragazzi: "si decide la propria vita quando sei giovane, a 16-18 anni. E' quello il momento in cui decidi se vuoi essere libero o no. Se vuoi essere te stesso o se vuoi che altri ti gestiscano. Io ho deciso a 16 anni che non avrei fatto niente che non mi piacesse ed essere liberi è una fatica". Oggi, però, "la libertà ce la togliamo da soli. Una volta il nemico era fuori di noi, oggi è dentro di noi e difficile da combattere".
    Tutti, secondo Paoli, "cercano approvazione oggi, dalla politica all'ultima delle persone. Tu non sei quello che vali ma conti per quanto ti apprezzano gli altri mentre il valore viene dall'autocoscienza. Nessun applauso può farti pensare di valere di più e nessun fischio di meno".
    La musica è "un modo di dare e non di avere e deve essere fatta per questo" per il cantautore genovese, che ha fatto box e non ha mai amato i gruppi e il 'viva e abbasso' del '68. Ma una volta, dice, "con la persona con cui facevi una grande scazzottata ti andavi a prender poi un caffè. Oggi tutto questo si è perso".
   

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