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Torna l'esodo Giuliano Dalmata nelle pagine di Ofelia

Torna l'esodo Giuliano Dalmata nelle pagine di Ofelia

Sentimenti, profumi e paesaggi visti con gli occhi di una bimba

ROMA, 15 febbraio 2020, 14:25

Diana Formaggio

ANSACheck

- RIPRODUZIONE RISERVATA

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LUISA ANTONINI, 'OFELIA. STORIA DI CANTO, DI TERRA E DI AMORE '(ERICKSON, pp.76 euro 12) - Ofelia racconta la storia delle sue radici che affondano nei ricordi dell'esodo giuliano dalmata, tratteggiando il dramma, così comune a molti anche oggi, di chi si sente strappato dalla propria terra madre, exclave italiana, Zara. Lo fa con la delicatezza dei ricordi che premono con forza dentro l'autrice, attraverso i personaggi della sua famiglia che hanno animato la sua vita in quegli anni tristi, ma veri, intensi e che oggi, di fronte al riaffiorare di istinti antisemiti e razzisti, rende queste pagine ancor più attuali.
    "Zara. Dove il «veneto» era una lingua incontaminata, ancora antica, preservata all'interno delle comunità lontane dalla terra d'origine. Ma poi «la voce stridula di una donna nascosta dai balconi testimoniò l'idioma che non era più quello dell'altra vita». Un macigno. Una condanna senza scampo.
    Definitiva. I personaggi, come anche le situazioni, gli oggetti, prendono vita nell'immaginario del lettore grazie alla generosità degli aggettivi che evocano epoche, odori, posture, colori, espressioni. Il bellissimo passo de «l'ainpren» racchiude, nel suo essere dono, commozione, dolcezza, amore, estasi. Ofelia - scrive ancora nella sua presentazione Stefania Gallana - riesce a riempire il suo dolore di 'meraviglioso' ".
    È un riscatto d'amore alla terra del cuore e al cuore degli intimi affetti. Una toccante poesia dall'intenso sapore di tutto quel mondo che l'autrice voleva farci arrivare.
    Il lettore "entra" nel romanzo affrontando la vecchia lingua che nel Veneto di oggi molti degli anziani riconoscono. Una lingua che con Arianna Costaura Boxin introduce al romanzo.
    "Carezade dale onde dell'Adriatico, viva e sorridente nel mezo dela Dalmazia ghe jera una zità, la zità dela nostra fameja 'Zara'. La ricordi cussì, co i sui tanti colori dove rivava i scojani e i morlachi co le zeste piene de fruti e de verdure, prodotti da lori, li animava el mercà. Se ciacolava in dialeto zaratin, in slavo, in italian, tuti se saludava e se conoseva".
    Poi la storia che si dipana pagine dopo pagine attraverso testimonianze come quella di «Uccio», Carlo Zohar di Karstenegg.
    Pezzi di vita raccontati: "Mi son Carlo son nato a Zara nell'uno otobre 1932 da una fameja molto numerosa. Mio papà jera funzionario nela Manifatura Tabacchi col compito de ispezionar tute le piantagioni de tabacco che ghe jera in Dalmazia. Mia mama inveze jera profesoressa de musica, canto e pianoforte".
    Poi arrivano i ricordi che Luisa Antonini affida a queste pagine. "Ofelia, la terza di tre figli. Prima di lei due maschi sufficientemente più grandi perché lei si sentisse sempre la più piccola. Ofelia, da parte di madre, non aveva zie, ma uno stuolo di proZie e un proZio. Di tutte le età, forme, colori, sesso.
    Erano le zie/zio della mamma, sorelle/fratello di sua nonna.
    Erano otto. Sette femmine e un maschio. Cinque da un marito.
    Tre da un altro marito. Tutti otto comunque fratelli". E poi.
    Poi arriva la guerra. "I bombardamenti di Zara durante la seconda guerra mondiale, ad opera delle Forze Alleate, causarono la quasi distruzione della città, exclave italiana in Dalmazia dai tempi del trattato di Rapallo e in seguito assegnata alla Repubblica Socialista Federale di Jugoslavia dal Trattato di Pace del 1947. Per tutti otto - è il racconto -, anche per la quinta proZia, ci fu l'esodo come per la quasi totalità della popolazione autoctona italiana". Vrso Venezia, la Serenissima.
   
   

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