Un' "invasione" di oltre tremila
cinesi avvenuta in poco tempo a San Donnino, un paesino di 4.500
abitanti alla periferia di Firenze che si ribellò: sarebbe stato
come se una città come Roma fosse invasa da 3 milioni di
immigrati. Le tensioni di 25 anni fa, con speculatori sulla
allora inedita ondata migratoria che pose le basi per una delle
più popolose 'Chinatown' d'Italia, una politica che fu spesso
assente, centinaia di operai italiani che perdevano il lavoro ed
episodi di raccomandazione per i permessi di soggiorno trovarono
un punto di svolta con la comparsa su quella scena difficile di
un sacerdote: don Giovanni Momigli, che era stato uno dei
sindacalisti Cisl più noti della Toscana e che aveva lasciato
tutto per indossare la tonaca. E' la vicenda al centro di 'La
rivoluzione di Don Momigli - La via fiorentina all'integrazione'
(Edizioni Sarnus-Polistampa, 20 pagine, 15 euro) del giornalista
fiorentino Luigi Ceccherini.
Dalla sua parte Momigli ebbe con discrezione l'aiuto
dell'allora cardinale Piovanelli. E così il prete ex
sindacalista cominciò a muoversi tra tensioni, proteste e
perfino lo "sciopero del voto" alle elezioni, capannoni pieni di
bambini e sferraglianti anche in piena notte. Il giovane
sacerdote si conquistò la fiducia dei cinesi fornendo loro
informazioni, aiuti, e obbligandoli a seguire i corsi di
italiano con uno stratagemma: creò un oratorio aperto a tutti i
bambini di qualsiasi razza fossero. Le suore entravano nei
capannoni come una volta fra le corsie degli ospedali. Lui
dovette subire infamie e denunce anonime: su di lui indagarono
Polizia e Guardia di Finanza. Ma lui continuò la sua battaglia:
mobilitò i politici e riuscì a convincere i governi di Roma e
Pechino a far nascere a Firenze un consolato cinese.
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