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Campiello, a Camon premio alla carriera

Campiello, a Camon premio alla carriera

Scrittore riceverà riconoscimento al Teatro La Fenice

VENEZIA, 20 luglio 2016, 15:30

Paolo Petroni

ANSACheck

- RIPRODUZIONE RISERVATA

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E' ''La mia stirpe'' l'ultimo libro di Ferdinando Camon, pubblicato nel 2011, un romanzo che per tanti versi era la conclusione di tutta una parte sostanziale della sua ricerca letteraria. Dedicato alla figura del padre, si chiudeva ricordando, perché la rivede nei tratti della piccola nipotina, la madre cui aveva dedicato uno dei suoi libri piu' amati, ''Un altare per la madre''. Allo scrittore padovano è stato assegnato il Premio Fondazione Il Campiello alla carriera 2016 che ritirerà in occasione della finale della 54/a edizione del Premio Campiello, in programma sabato 10 settembre al Gran Teatro La Fenice di Venezia. Un altare per la madre, premio Strega nel 1978, che il suo editore di sempre, Garzanti, ripubblica in questa occasione, Camon lo aveva definito ultima parte del suo ''Ciclo degli ultimi'' (tradotto un po' in tutto il mondo), dedicato alla sua gente e alle sue origini contadine, cui però a oltre 30 anni di distanza aveva aggiunto un nuovo capitolo esemplare, quasi a chiudere un cerchio di quella sua narrazione epica, che pare unire le generazioni attraverso i secoli, rinnovarsi e perpetuarsi eguale ogni volta, ad ogni nuova nascita e vita. Per Camon la stirpe è ''il nostro mezzo per essere immortali e questa narrazione è una sorta di presa di coscienza, un ribadire e far capire che in ognuno è tutti quelli che esistettero prima di lui e tutti quelli che esisteranno dopo di lui''. Si capisce allora perchè oggi lo scrittore tenga a sottolineare che il titolo di ''Un altare per la madre'' con cui lo ricorda lui ''è quello originale, mio personale: 'Immortalità', che nessuno editore volle, né in Italia, né all'estero'', un titolo in cui quindi il discorso de ''La mia stirpe'' trovava già il suo seme. Oggi Camon ha 81 anni e dice in un'intervista all'ANSA che il fisico lo sente indebolito, ''ma la memoria è vivissima'' e quindi ''continuo a scrivere sempre, ma non sono abituato a programmare e anticipare finchè non ho qualcosa di definito e concluso in mano''. Si capisce quindi che possiamo aspettarci ancora qualcosa, ma il fatto importante è che questo Campiello alla carriera riporta il suo lavoro all'attenzione del lettore, da ''Il quinto stato'', con cui esordì nel 1970, a ''La vita eterna'' che con ''Un altare per la madre'' costituiscono il Ciclo degli ultimi, la sua incisiva, intensa, forte rievocazione del mondo contadino travolto dal boom e il benessere del dopoguerra. ''Il nostro progresso è costato molto - dice - la morte di una civiltà, quella contadina: la morte di un paesaggio e un rapporto con la terra, la morte di un tipo di famiglia, la morte di un modo di intendere la vita di coppia e l'autorità dei vecchi, la morte di un certo sentimento religioso, di un certo cattolicesimo. Oggi mi accorgo che ho raccontato il dopoguerra registrando tutta questa devastazione, il tutto osservato in una regione, il Veneto, che era esemplare. Difficile dare un giudizio, essere, al di là del personale, nostalgici perché la storia ripropone sempre lo stesso problema: a un cambiamento ne segue un altro e un altro con i suoi pregi e i suoi difetti. Il fatto è che il cambiamento spesso è radicale e dimentica anche qualcosa che sarebbe prezioso conservare''. Dopo un romanzo nel 1975 legato all'attualità, forte e pregnante e che fece discutere, ''Occidente'', con al centro la figura nevrotica di Franco con le sue confuse esaltazioni piccolo borghesi che nutrirono allora gli estremismi rossi e neri nella Padova di Freda e Ventura, il discorso della stirpe, della memoria, si andò legando naturalmente a quello successivo di Camon, fondato sull'esperienza psicanalitica, affrontata anche criticamente. La sua scrittura corposa, ben radicata nel terreno, emotivamente densa nei suoi collegamenti all'antropologia contadina, mutò pian piano cercando una diversa sostanza più intelligente, che acquistò nuova leggerezza e un certo freddo humor, nei romanzi successivi, da ''La malattia chiamata uomo'' del 1981 a ''Storia di Siro'' e poi ''La donna dei fili'' e ''Il canto delle balene'' del 1989, in cui vive la società borghese, cittadina, e gli spaesamenti appunto del benessere e della sua crisi. In mezzo, ''La cavallina, la ragazza e il diavolo'', sorta di favola contadina con un andamento e una musicalita' che conservava l'eco dei racconti sull'aja o attorno al fuoco. Il Campiello, in questi nostri anni, pensiamo quindi premi proprio il valore profondo di testimonianza dell'opera di Ferdinando Camon (disponibile completa in 16 e-book), tra la civiltà contadina in cui crebbe e la trasformazione, talvolta anche pericolosa, consumistica del mondo del dopoguerra, per ricordarci oggi, in un momento di grave crisi che necessiterebbe di profondi ripensamenti, da dove veniamo e cosa abbiamo perso.
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