Chloé Zhao, vincitrice del Golden
Globe con "Nomadland", è finita in Cina nel giro di poco tempo
da essere un esempio di "orgoglio nazionale" a bersaglio delle
critiche agguerrite dei feroci netizen sui social media in
mandarino.
La vittoria di Zhao, seconda donna a vincere i Globes come
regista e la prima di origini asiatiche essendo nata a Pechino
38 anni fa, è stata in un primo momento salutata con grande
favore ed enfasi dai media ufficiali cinesi, quasi a voler
replicare il successo planetario di "Parasite", il film del
sudcoreano Bong Joon-ho capace di sbancare di Oscar malgrado
fosse una produzione straniera.
Poi, tuttavia, la regista è stata accusata di "insultare la
Cina" per aver fatto una decina di anni fa un commento sulla
censura del Great Firewall. La scorsa settimana sono apparsi sui
social media pesanti commenti, alcuni dei quali l'hanno accusata
di "diffamare la Cina" e di "tradimento" con la chiamata al
boicottaggio del film. Le critiche sono state anche alimentate
da una citazione errata apparsa in una recente intervista ai
media australiani in merito ai temi sulle origini e
sull'identità: Zhao aveva detto che gli Stati Uniti "non sono il
mio Paese, in definitiva", mentre la frase era stata riportata
in origine come gli Usa sono "ora il mio Paese". Svarione che ha
funzionato come benzina sul fuoco.
Non tutti i riferimenti al film sono scomparsi dal web
cinese: una versione inglese del poster della pellicola rimane
sul sito Douban, specializzato nella vendita dei biglietti e
nelle recensioni cinematografiche. L'uscita di Nomadland era
previsto per il 23 aprile, ma la data è stata poi cancellata, in
attesa di ulteriori sviluppi.
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