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Fosco e Topazia, tra amore e prigionia

Fosco e Topazia, tra amore e prigionia

Dacia Maraini presenta Haiku on a plum tree della nipote Mujah

ROMA, 10 marzo 2017, 15:45

Marzia Apice

ANSACheck

- RIPRODUZIONE RISERVATA

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E' un viaggio a ritroso nella Storia, ma soprattutto un faccia a faccia fra tre generazioni per riconciliarsi con la propria memoria familiare quello di Haiku on a plum tree, il documentario di Mujah Maraini-Melehi proiettato ieri sera a Roma in uno straordinario bagno di folla presso l'Istituto Giapponese di Cultura, alla presenza di Dacia Maraini e di sua sorella Toni. Con sguardo acuto e sensibilità femminile, ma anche grande raffinatezza espositiva nell'alternare immagini d'epoca a suggestioni contemporanee, l'autrice racconta la storia d'amore dei suoi illustri nonni, Fosco Maraini e Topazia Alliata, e la loro prigionia con le tre figlie, Dacia, Toni (sua madre) e Yuki, in un campo di detenzione giapponese negli anni finali della II Guerra Mondiale. Con l'intensità di un haiku (breve poesia giapponese che cattura con pochi termini l'essenza di un momento), il documentario (già presentato nella scorsa edizione della Festa del Cinema di Roma) accende i riflettori sulla vita di una famiglia che pur di non cedere ai ricatti del regime rinunciò alla libertà. Giunti in Giappone nel '38, Fosco e Topazia, lui fotografo, antropologo, etnologo e scrittore e lei artista, furono infatti internati nel '43 a Nagoya perché non vollero aderire alla Repubblica di Salò. Una prigionia fatta di fame e freddo, alla mercé di terremoti e bombardamenti, nello sgomento di una sofferenza documentata dai diari di Topazia (che ha fatto in tempo a prestare la sua viva testimonianza al documentario, prima di morire nel 2015 a 102 anni) e da tante fotografie, ma anche dalle memorie delle stesse Dacia e Toni. E se per la regista il film è servito "a capire, perché ho ereditato le scelte di chi mi ha preceduto e molte cose sono nel mio dna", è stata l'emozione mai sopita, nel fluire dei ricordi, a trasparire più di tutto nei visi delle due sorelle, Dacia e Toni, durante la proiezione. "Una parte di me è ancora in Giappone, è stata un'infanzia fatta di cose belle e anche brutte, ma comunque una grande ricchezza", ha detto la scrittrice di 'Bagheria', "da bambina non riuscivo a spiegarmi ciò che ci accadeva, e ogni sera mi stupivo di essere viva. Però non ho nessun rancore per il popolo giapponese, che ha subìto la nostra stessa ferita e che è sempre stato dalla nostra parte". Differentemente dalla scrittrice, che è poi tornata diverse volte in Giappone, la sorella Toni (a cui la regista dedica il film) ha scelto di non andare più nella terra in cui nacque nel 1941, perché "certe separazioni sono per sempre". "In Giappone l'esperienza è stata dura, e al ritorno in Italia abbiamo cercato dapprima di dimenticare, poi abbiamo iniziato a ridere di ciò che avevamo vissuto", ha commentato Toni, "oggi è importante tornare a parlare di libertà, in un mondo che si sta riempiendo di campi". Le musiche originali di Ryuichi Sakamoto e le scenografie, ispirate al teatro di schermi giapponese dogugaeshi, realizzate dal master-puppeteer Basil Twist, arricchiscono un documentario intenso e delicato prodotto dal basso, grazie a una campagna di crowdfunding che ha permesso di raccogliere 60 mila dollari da donatori di tutto il mondo.

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