Poco meno di quattro ore, 226 minuti, per raccontare la fragilità dell'esistenza. E' THE WOMAN WHO LEFT, Leone d'oro della 73/a Mostra del cinema di Venezia, firmato dal regista, sceneggiatore, produttore e attore filippino Lav Diaz (che con A LULLABY TO THE SORROW MYSTERY aveva presentato al Festival di Berlino una vicenda che si sviluppava in ben otto ore).
Bianco e nero, camera fissa, sequenze di circa un minuto l'una, con tutto a fuoco (tranne qualche eccezione), per portare sullo schermo la storia triste di una donna di mezza età (una straordinaria Charo Santos-Concio) che si trova costretta a ripercorrere la sua vita a ritroso dopo essere stata ingiustamente reclusa per ben trent'anni in un carcere.
Per lei c'è la ricerca di un figlio che non vede da trent'anni e anche una vendetta meditata durante tutta la sua vita carceraria.
Liberamente tratto dal racconto breve 'Dio vede quasi tutto, ma aspetta' (1872) di Lev Tolstoj, il film dimostra che "l'esistenza è fragile. Alla fine di una giornata, in fondo, noi non sappiamo nulla", ha sottolineato il regista. In primo piano, dunque, una storia semplice sull'esistenza umana, che si chiede "dov'è la logica in tutto questo?", un po' come ha fatto Terrence Malick nel suo VOJAGE OF TIME.
L'ambientazione del film è a Mindoro, provincia delle Filippine da cui proviene la stessa Charo Santos-Concio.
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