"Permettiamo alle idee di germinare e fiorire. Non possiamo impedire a noi stessi di creare senso, e ci aspettiamo questo anche dall'arte, che costruisca senso": William Kentridge restituisce a parole al pubblico romano le suggestioni che affollano la sua mente visionaria, a pochissimo dall'inaugurazione (che avverrà il 21 aprile, nel giorno del Natale di Roma) di Triumphs and Laments, la monumentale installazione site specific realizzata sui muraglioni nel tratto del Tevere tra Ponte Sisto e Ponte Mazzini. "L'opera d'arte non ha mai un significato di per sé: c'è sempre un significato che la trascende", spiega oggi pomeriggio durante l'incontro a Palazzo Barberini, nel quarto appuntamento de Il Gioco serio dell'Arte, specificando di aver voluto mostrare nel suo "regalo per Roma" (l'opera è stata realizzata grazie al crowdfunding e con risorse delle sue gallerie) ai cittadini "ciò che lui stesso ha dimenticato".
Dopo oltre 3 anni di lungaggini burocratiche, questo lavoro epico e monumentale (già visibile sul lungotevere) finalmente è pronto per essere mostrati con tutto il poetico ed effimero fascino: un fregio lungo 550 metri, composto da 80 figure alte fino a 10 metri, per un progetto che al massimo potrà durare qualche anno, dai 3 ai 5, perché realizzato mediante un procedimento di pulitura della patina biologica, dello smog e della sporcizia accumulati sul marmo dei muraglioni. Quindi una volta ricreatosi lo sporco, le immagini scompariranno nell'oblio, ferme solo nella memoria di chi ha potuto ammirarle. Un lavoro per "sottrazione" utilizzando degli stencils per i disegni, nel quale Kentridge ha illustrato i trionfi e le glorie della città eterna: mescolando epoche e personaggi, senza alcuna sequenza cronologica, l'artista ha preso in mano la memoria collettiva e l'ha resa nuova, pur lasciandone intatto il sapore di "familiarità". Abituato a stupire qualunque cosa faccia - il disegno e la pittura, il teatro e il cinema, le performance e le installazioni - Kentridge mostrerà ancora una volta che l'arte è capace di andare oltre, al di là della mera tecnica o dell'estetica, e di caricarsi di significati che possano interagire con la realtà, e a volte, aiutare a comprenderla.
Tutto è un processo, tutto non è mai univoco: "quando lavoro faccio qualcosa che abbia senso per me, altrimenti sarebbe paternalistico. Non si prevedere cosa la gente capirà", spiega, raccontando di aver compreso subito fin da giovane "l'importanza di far migrare le immagini da un medium all'altro". "Nonostante mi avessero detto di concentrarmi su un'unica tecnica perché altrimenti sarei rimasto un dilettante, io ho voluto provare tutto per capire quello che volevo", prosegue, specificando che l'arte è una "continua mediazione". "In fondo quando sono a lavoro nello studio, frammenti di mondo entrano e io li ricompongo", continua, e la stessa cosa accade con il tempo, "che si può dilatare e contrarre". "È come con la caverna di Platone: fuori c'è la realtà però si può imparare dalle ombre e continuare a immaginare". Anche il pubblico romano sarà chiamato a costruire il suo significato: a cominciare dalla visione stessa, che potrà avvenire scegliendo come punto di osservazione la sponda opposta del Tevere o semplicemente camminando al fianco dell'opera.
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