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Genesi, la natura perfetta di Salgado

Genesi, la natura perfetta di Salgado

A Palazzo Ducale, la bellezza incontaminata dei mondi lontani

GENOVA, 27 febbraio 2016, 13:01

Chiara Carenini

ANSACheck

Mostra 'Genesi ' - Brasile, 2009 ( Credit: Sebastiao Salgado - RIPRODUZIONE RISERVATA

Mostra  'Genesi ' - Brasile, 2009 ( Credit: Sebastiao Salgado - RIPRODUZIONE RISERVATA
Mostra 'Genesi ' - Brasile, 2009 ( Credit: Sebastiao Salgado - RIPRODUZIONE RISERVATA

Affrontare 'Genesi', la mostra di Sebastiao Salgado allestita nel Sottoporticato di Palazzo Ducale a Genova, significa affrontare la consapevolezza di aver perso, in questa epoca così superficialmente 'occidentale', la bellezza e il senso della fragilità.
Abituato a comunicare per immagini, abituato a mostrare l'uomo e i suoi margini sociali, etici, politici, con Genesi Salgado vuole mostrare l'inizio, l'origine.
In origine questo era il mondo e questa la natura: linee perfette, sincronismo, bellezza purissima, simmetricità, fantasia. L'origine, i suoi elementi: l'acqua, la terra, l'aria e il fuoco che combinandosi hanno dato una possibilità alla vita. E simboli, quelli usati per comunicare e quelli che la natura di pone davanti perché si possa interpretare tramite essi il divino che finalmente diventa essoterico.
Dice Salgado: "Finora avevo fotografato solo un animale, l'uomo, poi ho preso la decisione di intraprendere questo progetto e di andare a vedere il pianeta spinto da un'enorme curiosità di vedere il mondo, conoscerlo".
Quel che resta dopo il viaggio di Salgado in Amazzonia, Congo, Indonesia, Antartide, Nuova Guinea, Alaska sono 200 fotografie, alcune di grandi dimensioni, tutte in bianco e nero lavorate dal grande fotografo brasiliano con una tecnica che lo rende unico, irripetibile: i contrasti, le sfumature, i 'fumi' che ammorbisdiscono i contorni, la capacità di far uscire i particolari e di mostrare quell'alta ingegneria che è propria solo della natura e mai dell'uomo. La perfezione, il fondersi delle linee del cielo con quelle degli animali, le pieghe dure della roccia plasmate dal vento e quelle morbide del deserto che al vento ubbidiscono.
Un viaggio anche antropologico che mostra popolazioni ancora primitive avvolte nei loro simboli così efficacemente riassunti dai 'performer' africani con il volto che diviene maschera rituale. Un viaggio che è etico, perché costringe alla riflessione: questo è ciò che era all'inizio, è ciò che resta di un pianeta meraviglioso. E' giusto ucciderlo, o più semplicemente continuare a ferirlo e costringerlo a morire? La mostra, che si inaugura domani curata da Lélia Wanick Salgado, resterà aperta al pubblico fino al 26 giugno 2016.

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