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Velo in vetrina, polemica in Francia su look islamico

Velo in vetrina, polemica in Francia su look islamico

Yves Saint-Laurent, "Trovo vergognoso il comportamento di questi marchi. Dovrebbero esaltare la libertà e non servirsi di donne che sono asservite"

PARIGI, 30 marzo 2016, 10:26

Redazione ANSA

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Il. velo islamico proposto da Dolce&Gabbana - RIPRODUZIONE RISERVATA

Il. velo islamico proposto da Dolce&Gabbana - RIPRODUZIONE RISERVATA
Il. velo islamico proposto da Dolce&Gabbana - RIPRODUZIONE RISERVATA

In principio fu Dolce & Gabbana con la sua collezione Abaya e Hijab. Adesso sono i grandi marchi popolari, i magazzini della moda, quelli che da Londra a Parigi affacciano i loro manichini sulle strade, a proporre il nuovo look islamico. Nella capitale francese ancora sconvolta dagli attentati, però, veli islamici e "burkini" (fantasioso punto d'incontro fra bikini e burka) fanno rabbia a molti.

Fra questi - intervistato da Le Parisien - c'è un boss della moda come Pierre Bergé, uomo d'affari e per anni socio e compagno nella vita di Yves Saint-Laurent: "Sono affranto - dice - mi sembra una totale mancanza di morale e di coscienza politica. I creatori non hanno assolutamente niente a che vedere su questo mercato che è la negazione della moda! Trovo vergognoso il comportamento di questi marchi. Dovrebbero esaltare la libertà e non servirsi di donne che sono asservite".

La tendenza al look islamico, però, sembra ormai esplosa e inarrestabile: nel 2019, il mercato della moda musulmana dovrebbe rappresentare nel mondo un bottino di 500 miliardi di dollari, il doppio rispetto al 2013. Dopo multinazionali come H&M (siate "chic" dice la pubblicità con l'immagine di una ragazza musulmana con capelli e collo coperti dal velo) è arrivata la giapponese Uniqlo con i suoi veli (hijab) nelle vetrine londinesi, seguita a ruota da Marks & Spencer. Con 62,95 euro, per l'estate prossima, ci si può assicurare un bel "burkini", tinta unita o a fiori.

In Francia, patria della moda, la svolta ideologico-finanziaria è arrivata nel momento di più difficile digestione, tanto che tutti i grandi stilisti non commentano volentieri la novità. Parla soltanto Agnes b.: "E' una cosa delicata, fare questo tipo di indumenti è una cosa che va al di là del consumo o della moda. Significa entrare nella sfera della politica, della religione. Io non ne farò mai. C'è qualcosa di osceno nel proporre abiti per donne ricche in paesi dove certe fuggono dalle bombe con il loro velo sulla testa".

Se qualcuno si ribella, la maggior parte ha fiutato il grande affare, sugli Champs-Elysees la sfilata di ricchissime arabe che scendono da limousine con autista ed entrano carte di credito in bella vista nelle boutique più prestigiose è panorama quotidiano. "E' ora di finirla con quest'opposizione fra fede e moda, che rende il velo un tabù - dice Ece Ege, creatrice franco-turca che ha creato la maison Dice Kayek - pensare che tutte le donne velate siano asservite significa disconoscere un modello di vita, una religione una cultura. Ignorare queste donne, significa isolarle". 

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