Un secolo fa, il 26 febbraio del 1916, moriva a Copenhagen il pittore Vilhelm Hammershoi, un isolato, solitario, grande pittore dell’intimismo borghese. Roma gli dedica la mostra 'Per Vilhelm Hammershoi 1916-2016', in via Margutta nella Hall dell’Hotel Art fino al 22 marzo, con la partecipazione di 10 pittori (Valeria Cademartori, Mario Fani, Paolo Giorgi, Alessandra Giovannoni, Paolo Guiotto, Bernardino Luino, Luca Morelli, Daniela Pasti Augias, Ruggero Savinio, Duccio Trombadori), due fotografi (Raniero Botti e Claudia Medici) e un’ospite, Anita Viola Nielsen, scelta tra i borsisti dell’Accademia d’Arte di Danimarca a Roma.
Foto in mostra 'Bath Uk 2015' di Claudia Medici
Riscoperto solo negli ultimi anni, epurato insieme a tanti altri dalla velleitaria voga d’avanguardismo, Hammershoi deve ad una grande mostra retrospettiva al parigino Museo D’Orsay del 1997 la sua rivalutazione critica. La sua poetica “d’interno” richiama quella dell’Olanda del secolo d’oro ma nello stesso tempo ne risulta assai lontana se si escludono forse alcune tele di Jean Vermeer, e questo per il clima vagamente claustrofobico e solenne che domina le sue stanze come segrete, le fughe prospettiche delle porte e la sua sola abitatrice, l’enigmatica moglie-modella, Ida Ilsted tra vestale e fantasma nel grande appartamento sulla Strandgade. Di quella mostra parigina dette conto in un articolo del 1998, Anna Ottani Cavina avvicinando Hammershoi ad una cerchia di appassionati italiani che nulla sapevano del maestro danese che per due volte fu a Roma, nel 1893 e nel 1911 (nel 1912 donerà un suo autoritratto richiestogli dal fiorentino Museo degli Uffizi).
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