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Addio al 'tenore di vita' nell'assegno di mantenimento dopo il divorzio

Addio al 'tenore di vita' nell'assegno di mantenimento dopo il divorzio

Contano indipendenza e autosufficienza. Vittoria per ex ministro

ROMA, 01 giugno 2017, 13:21

Margherita Nanetti

ANSACheck

Foto d 'archivio di un uomo senza la fede - RIPRODUZIONE RISERVATA

Foto d 'archivio di un uomo senza la fede - RIPRODUZIONE RISERVATA
Foto d 'archivio di un uomo senza la fede - RIPRODUZIONE RISERVATA

E' una rivoluzione il verdetto della Cassazione che archivia il "tenore di vita" goduto durante il matrimonio come parametro perenne che l'ex coniuge era (fino a ieri) tenuto ad assicurare con assegno alla moglie divorziata. Questo 'spauracchio' della condanna al 'mantenimento a vita', va in soffitta e - sulla scorta di quanto succede anche nel resto d'Europa - lascia il posto a un nuovo "parametro di spettanza" basato sulla valutazione dell'indipendenza o dell'autosufficienza economica dell'ex coniuge che chiede l'aiuto del partner, compagno di una vita a due ormai dissolta.

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Il matrimonio non è più la "sistemazione definitiva": sposarsi, scrivono i supremi giudici nella sentenza 11504, è un "atto di libertà e autoresponsabilità" e se le cose vanno male si torna ad essere "persone singole", senza rendite di posizione. Anche perché dover versare un assegno "può tradursi in un ostacolo alla costituzione di una nuova famiglia" e questo in violazione del diritto a rifarsi una vita riconosciuto dalla Corte di Strasburgo e dalla Carta fondante dell'Unione Europea.

Il caso che ha generato questo sommovimento del diritto di famiglia, è quello del divorzio nel 2013 tra un brillante ex ministro e una affascinante imprenditrice sposati dal 1993. Lui le versa due milioni di euro durante la separazione - tra i motivi di dissidio ci sono anche i debiti accumulati dalla signora - sperando che non ci siano altre richieste. Ma si sbaglia. Perché l'ex moglie ricorre in Cassazione per avere anche un 'vitalizio' dopo che la Corte di Appello di Milano nel 2014 glielo aveva negato ritenendo incompleta la sua documentazione dei redditi, e considerando anche che l'ex marito aveva subito una "contrazione" delle sue entrate.

Ad avviso dei supremi giudici, la decisione milanese deve essere 'corretta' perché a far perdere il diritto all'assegno alla ex non è il fatto che si suppone abbia redditi adeguati, ma la circostanza che i tempi ormai sono cambiati e occorre "superare la concezione patrimonialistica del matrimonio inteso come 'sistemazione definitiva'".

"Si deve quindi ritenere - afferma il verdetto - che non sia configurabile un interesse giuridicamente rilevante o protetto dell'ex coniuge a conservare il tenore di vita matrimoniale". Questo vuol dire che saranno d'ora in poi passati ai raggi 'x' i beni, la disponibilità di una casa, e la capacità lavorativa, attuale o potenziale, di chi chiede l'assegno e "se è accertato che è economicamente indipendente o è effettivamente in grado di esserlo, non deve essergli riconosciuto il relativo diritto".

Per Gian Ettore Gassani, avvocato matrimonialista, "si tratta di un terremoto giurisprudenziale in linea con gli orientamenti degli altri Paesi europei". L'ex ministro - difeso da Ida Favero e Daniele Mariotti - è soddisfatto del verdetto, ma chiede il rispetto della richiesta di riservatezza stampigliata sul verdetto degli 'ermellini'. Far calare il sipario su questa storia, oscurando i nomi dei protagonisti, è la richiesta che viene anche da Salvatore Santagata, legale della signora.

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