E' l'immigrazione il sipario dell'ultimo duello tv tra i candidati democratici, Hillary Clinton e Bernie Sanders, che a Miami si smarcano dalle "deportazioni" di Obama per corteggiare il voto di quasi due milioni di ispanici della Florida, lo Stato più importante dei quattro dove il 15 marzo si torna a votare nelle primarie per la Casa Bianca. Un round che potrebbe essere decisivo per un allungo dei frontrunner senza possibilità di rimonta per gli inseguitori, anche nel fronte repubblicano, i cui candidati si sfidano stasera in un analogo dibattito televisivo: per il senatore Marco Rubio, costretto a vincere in casa per non uscire da una corsa finora deludente, è l'ultimo tram. Ma a dettare l'agenda Gop ci pensa sempre Donald Trump, che oggi è tornato ad attaccare il mondo musulmano dagli schermi della Cnn: "l'Islam ci odia", afferma, convinto che la fede di Maometto si caratterizzi in parte proprio per "il grandissimo disprezzo" verso il mondo occidentale, rendendo "molto difficile separare" tale religione dall'Islam radicale. "Per questo dobbiamo essere molto vigili e stare molto attenti. E non possiamo permettere alle persone che hanno quest'odio nei confronti degli Usa di venire nel nostro Paese".
L'ennesima sparata che ha indotto il presidente americano a commentare le macerie in casa repubblicana durante la conferenza stampa congiunta con il premier canadese: le primarie Gop sono un "circo", ha accusato, assumendosi la responsabilità di non aver creato ponti politici ma escludendo di aver contribuito a peggiorare i toni della retorica politica o al "collasso" dell'Old Great party. Poi l'affondo anche contro i rivali repubblicani di Trump, Ted Cruz e Marco Rubio: "le posizioni di Trump sull'immigrazione e su altre questioni non sono diverse dalle loro, l'unica differenza è il linguaggio più provocatorio". Ed è proprio l'immigrazione su cui si misura l'irriducibile distanza con i candidati democratici. Che litigano in tv rinfacciandosi reciprocamente voti degli anni passati che avrebbero penalizzato gli immigrati. Ma alla fine sono accomunati dalla necessità di una "riforma complessiva" e dall'impegno a non deportare i bambini, e neppure gli immigranti senza documenti che non hanno commesso reati. Spinta a "sinistra" da Bernie, e incalzata da un moderatore ispanico, Hillary è costretta a prendere le distanze dalla politica di Obama, affermando di non avere le stesse politiche dell' "attuale amministrazione" e che interverrà per fermare le retate contro i clandestini. Una promessa nuova, che alimenta ulteriormente le speranze di regolarizzazione di 11 milioni di clandestini presenti in Usa. In campo Gop invece è solo "muro" contro gli immigrati: quello che Trump vuole fare costruire al confine col Messico o quello delle deportazioni condivise anche da Cruz e Rubio. Ma proprio il voto degli immigrati, in particolare degli ispanici, potrebbe fare la differenza nelle presidenziali: dopo la corsa dei latinos a naturalizzarsi per poter votare contro Trump, il miliardario George Soros e altri donatori liberali investiranno 15 milioni di dollari in una campagna per mobilitare gli ispanici e altri migranti al voto di novembre.
In tv i due candidati Dem appaiono divisi su tutto, affrontandosi con toni duri, anche se sempre rispettosi: il grado di gratuita' della sanità, la capacità di tenere Wall Street sotto controllo, il salvataggio pubblico dell'industria automobilistica. Sanders - dato per vincitore da media e analisti - affonda su tutto, tranne che sull'emailgate, nel quale l'ex segretario di Stato si dice sicura di non venire incriminata. "Oh santo cielo, ma questo non accadrà", si sdegna, dribblando però la questione se si ritirerà dalla corsa nel caso venga rinviata a giudizio: "a questa domanda non risponderò".
Ma, più del tenace Sanders, appare ormai questa l'unica minaccia che può farla inciampare in quella che lei stessa ha definito una "maratona".
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