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Architettura per carceri più "vivibili"

Architettura per carceri più "vivibili"

Tre tesi laurea col contributo minori detenuti a Quartucciu

CAGLIARI, 28 febbraio 2018, 10:04

Redazione ANSA

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di Stefano Ambu

Il cielo a sbarre non esiste più. Almeno nei disegni e in un laboratorio di una tesi di laurea discussa questa mattina all'istituto penale minorile di Quartucciu, a pochi chilometri da Cagliari. Alice Salimbeni, una delle tre studentesse che hanno conseguito la laurea magistrale in architettura all'università di Cagliari, illustrando il proprio lavoro in carcere davanti a una commissione appositamente riunita sul posto, ha mostrato il suo progetto di "prigione" che consente ai detenuti di poter guardare in alto senza che lo sguardo sia diviso in quadrati o linee verticali sistemati alle finestre per evitare possibili fughe. Architettonicamente plausibile anche per i professori, che infatti l'hanno premiata con un bel 110 e lode.

Non solo. E qui viene il bello: insieme ai detenuti - a Quartucciu ce ne sono una decina - Alice ha progettato e realizzato uno spazio per gli incontri con delle strutture in legno molto particolari. Come funzionano: ti siedi, leggermente sdraiato. E, guardando in alto, sei praticamente costretto a guardare il cielo. Titolo della tesi: "Dalle celle alle stelle: uno spazio autocostruito all'Ipm di Quartucciu". Scritto proprio così: "È stato il commento di uno dei ragazzi alle tavole del progetto esposte nell'istituto. L'abbiamo voluto lasciare così", ha spiegato la studentessa. Poesia architettonicamente possibile. In cui conta anche il lavoro fatto insieme in un mese. "Una squadra di operai avrebbe potuto fare tutto prima e meglio. E invece - sottolinea ancora la neolaureata - è stato importante il lavoro di autocostruzione del proprio spazio. Sono state determinanti le indicazioni di chi nell'istituto vive o deve vivere ogni giorno".

Non meno interessanti anche le altre tesi. Laura Spano, la prima della mattinata a presentare le sue ultime fatiche, ha esposto il lavoro "Spazio al colore". L'idea è chiara: il detenuto è privato della libertà, ma non deve essere privato di uno spazio vivibile e bello attorno a sé. Il carcere insomma come cura, non come punizione. E anche il colore può essere una medicina: perché non smorzare la cupezza di un corridoio triste e lungo con pareti azzurre che segnalino un ingresso o punti luce migliori? Le parole tecniche sono comfort ambientale e umanizzazione dello spazio. Nella stessa direzione va anche il lavoro di Giulia Rubiu: una progettazione con le ultime tecnologie a disposizione, dal 3D alla realtà aumentata, di un carcere ideale. Il video descrive un istituto di pena all'avanguardia, pieno di luce. Un messaggio di speranza per chi sta cercando di uscire da un tunnel.

 

   

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