"Sono qui nonostante il mio profondo
dolore, nonostante i miei timori, la mia emozione, le ferite nel
mio contesto familiare, sono qui in questa grande manifestazione
per di dire no allo sfruttamento del lavoro in agricoltura". Lo
ha detto ai giornalisti Stefano Arcuri, marito di Paola
Clemente, la bracciante di 49 anni morta nei campi il 13 luglio
dello scorso anno mentre era al lavoro in un vigneto per
l'acinellatura dell'uva. Arcuri è intervenuto oggi a Bari sul
palco del comizio, allestito in occasione della manifestazione
nazionale indetta da Fai-Cisl, Flai-Cgil e Uila-Uil per dire no
al caporalato, allo sfruttamento del lavoro in agricoltura e per
il rinnovo dei contratti provinciali di lavoro.
"La mia dolorosa esperienza serve a spiegare perché - ha
detto Arcuri che viveva con sua moglie ed i suoi tre figli a San
Giorgio Jonico, a 300 chilometri circa di distanza da Andria
dove Paola Clemente ha perso la vita - è importante avere un
contratto e soprattutto perché occorre opporsi al caporalato".
Arcuri ha poi ribadito le dure condizioni di lavoro delle
braccianti, assunte da agenzie interinali per conto delle
aziende, del "misero guadagno, 27 euro al giorno, per molte ore
di lavoro". A gennaio scorso l'esito dell'autopsia e degli esami
tossicologici hanno stabilito che fu una cardiopatia la causa
della morte della 49enne bracciante agricola, una delle 13
vittime che hanno funestato la categoria nel 2015.
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