TORINO - Appena 114 esemplari sfuggiti alla fusione, il destino delle monete rimaste prive del decreto di circolazione e quindi mai ufficialmente diffuse: è la storia che ha reso il 5 lire d'argento 'Aquila sabauda' uno degli esemplari più rari di Casa Savoia.
La moneta, che si appresta a essere battuta all'asta da Bolaffi nell'appuntamento del 5 e 6 giugno, fa parte della serie commissionata all'inizio del XX Secolo da Vittorio Emanuele III: il sovrano, noto come 're numismatico' per la sua grande passione da collezionista, commissiona una nuova serie di scudi d'argento, la moneta più prestigiosa dell'epoca, con la sua effigie.
Dalla Zecca di Roma vengono coniati dieci campioni di straordinaria bellezza: sul dritto figura il profilo del re; sul rovescio l'aquila araldica coronata, ad ali spiegate, con lo scudo sabaudo sul petto; in alto, fra due nodi Savoia, la dicitura 'Regno di Sardegna'. Un modello che piacque tanto alla coppia reale, ai responsabili politici e ai funzionari del Tesoro da metterla in produzione prima del via libera ufficiale prescritto dai trattati internazionali. All'epoca infatti è in vigore l'Unione Monetaria Latina tra Italia, Francia, Grecia, Belgio e Svizzera e la circolazione di una nuova moneta è vincolata a un'autorizzazione formale che per l''Aquila Sabauda' non arriverà mai.
E' anche la storia della sua grande fortuna: alla fusione dell'intero quantitativo coniato scampa poco più di un centinaio di monete, probabilmente già finite nelle mani di numismatici o autorità che ne avevano fatto richiesta, anche dall'estero. E forse proprio fuori dai confini italiani, dove può passare più facilmente inosservata, la moneta circola per qualche tempo: lo testimoniano le tracce, seppur minime, presentate dal lotto che va all'incanto da Bolaffi.
La base d'asta è di 30 mila euro, una bella rivincita per la moneta sabauda, che senza alcun riconoscimento giuridico era, a suo tempo, priva di qualsiasi valore commerciale.
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