Dalla profondità delle catene
montuose generate dalla collisione tra continenti, come
l'Himalaya, grandi quantità di anidride carbonica risalgono
carbo-fratturando le rocce incassanti e/o sfruttando faglie
profonde. Il meccanismo e la strada attraverso i quali la CO2
viene liberata in superficie è stato svelato da una ricerca
condotta da Chiara Groppo e Franco Rolfo del dipartimento di
Scienze della Terra dell'Università di Torino in collaborazione
con Maria Luce Frezzotti dell'Università di Milano-Bicocca. Lo
studio è stato pubblicato sulla rivista Communications Earth and
Environment (del gruppo Nature), Chiara Groppo e Franco Rolfo
del Dipartimento di Scienze della Terra dell'Università di
Torino.
Che le catene montuose anche prive di vulcani producano
anidride carbonica in quantità rilevanti, dello stesso ordine di
grandezza di quelle messe dall'attività vulcanica, era un
elemento ormai acquisito, restava da capire come la CO2 salisse
in superficie. I ricercatori italiani hanno usato l'approccio
della modellizzazione termodinamica dimostrando che a oltre 590
gradi e con una pressione superiore a 7.8 kbar, i fluidi
prodotti non si possono mescolare e si separano 'alla nascita'
in due componenti: un vapore ricco in CO2 e una salamoia
idro-salina, con proprietà chimico-fisiche molto diverse e,
conseguentemente, una diversa mobilità. "I fluidi ricchi in C02
- spiegano gli autori della ricerca - molto più abbondanti,
sono meno densi e hanno un comportamento non bagnante: sono
quindi in grado di risalire rapidamente in superficie,
carbo-fratturando le rocce incassanti e/o sfruttando faglie
profonde. Le salamoie idro-saline, invece, sono molto più dense
e hanno un comportamento bagnante; stazionano quindi in
profondità, permeando le rocce incassanti".
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