ANCONA - Nelle Marche i piatti della tradizione pasquale tornano sulle tavole ogni anno, nonostante l'omologazione imperante della ristorazione. E sono gli stessi sapori apprezzati da Giacomo Leopardi, che il 17 marzo del 1826, lontano da Recanati, scriveva alla sorella Paolina: "Salutami il curato e don Vincenzo, e dà loro a mio nome la buona Pasqua, che io passerò senza uovi tosti, senza crescia, senza un segno di solennità". La tradizione vuole infatti che nella colazione del mattino di Pasqua non manchino mai le uova sode e la crescia al formaggio, oltre alla coratella di agnello e al ciauscolo, il salame di Visso conosciuto già dagli antichi romani, di cui Giacomo non fa però menzione.
La ''crescia'' del poeta ha due versioni, una dolce e l'altra salata. Quella dolce prevede l'impiego di uova, zucchero, canditi, uva passa e lievito. Nell'entroterra di Pesaro la crescia dolce viene chiamata "Panettone Pesarese". Quella salata o "brusca" si caratterizza, nell'impasto di uova e farina, per la presenza di parmigiano, pecorino e una bella manciata di pepe.
Il pranzo di Pasqua consta di due primi: uno in brodo, solitamente con i capellini all'uovo, stracciatella o passatelli, e l'altro asciutto: tagliatelle al sugo o vincisgrassi, ma anche ravioli al ragù. Come seconda portata non può assolutamente mancare l'agnello, che sia fritto o arrosto. Quanto agli antipasti, ormai in declino le uova sode, spazio alla frittata con la mentuccia, accompagnata da salame e ''pizza al formaggio'': la crescia si chiama così a Matelica, Jesi, Fabriano.
Per finire, la ricca sfilata dei dolci. Negli agriturismi, nelle trattorie più tradizionali e anche in certi forni dei paesi dell'entroterra si confezionano ancora la ''ciaramilla urbinate'', una ciambella da cuocere al forno coperta da meringa e confettini colorati, l'agnello pasquale dolce, a base di pan di Spagna, imbevuto di liquore e farcito con mandorle, cioccolata e crema, e la ''ciambella frastagliata''. Un dolce preparato con un impasto di uova e farina con l'aggiunta di zucchero, mistrà e una buccia di limone grattugiata, il tutto prima scottato in acqua bollente e poi cotto al forno. La ''palomma'', la colomba pasquale e ''lu rocciu'', fatto con la stessa pasta delle ciambelle, intrecciata come una corda, chiudono il pranzo della festa marchigiana. Innaffiato ovviamente da vini locali, che ormai vantano 5 Docg e 15 Doc.
Riproduzione riservata © Copyright ANSA