Chebli Sami, il tunisino di 32 anni
espulso dall'Italia per motivi di sicurezza, era finito sotto la
lente degli investigatori dopo l'attentato di Berlino, quando
l'attenzione sugli ambienti jihadisti si era ulteriormente
potenziata. Nel mirino, soprattutto, i contenuti del suo profilo
Facebook, dove figuravano proclami e immagini inneggianti allo
stato islamico. Sempre attraverso il social Sami era in contatto
con il connazionale a sua volta in collegamento con l'autore
della strage, Anis Amri, e si sarebbe lasciato andare a commenti
e condivisioni che in qualche modo rivelavano il suo
compiacimento per l'attentato.
Prima di allora, Sami era stato segnalato solo per la sua
"significativa propensione alla violenza", come afferma il
Viminale, e denunciato all'autorità giudiziaria per rapina e
lesioni personali aggravate. Insomma, è il commento captato in
ambienti investigativi, un "balordo", di cui però si sta ora
cercando di ricostruire a ritroso il passato per cercare di
capire se la sua vicinanza con l'estremismo religioso fosse più
stretta di quanto finora emerso. Le indagini, condotte da
polizia e carabinieri, sono solo all'inizio. "Stiamo lavorando
per mettere tutte le tessere del puzzle al loro posto", ha
commentato la dirigente della Digos di Ancona Margherita
Furcolo.
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