Alessia Pifferi era seguita già tra
i "6 e gli 11 anni" dai servizi di neuropsichiatria infantile
territoriale e aveva avuto già "una diagnosi funzionale di turbe
psichiche e gravi ritardi cognitivi", certificata "da una
cartella clinica che abbiamo recuperato ieri grazie al
Policlinico". Lo ha spiegato l'avvocato Alessa Pontenani, che
difende la 38enne in carcere per aver lasciato morire di stenti
la figlia Diana di quasi 18 mesi nel luglio 2022, abbandonandola
in casa da solo per sei giorni.
La difesa ha chiesto ai giudici un'integrazione della perizia
psichiatrica, che aveva già certificato la capacità di intendere
e volere della donna. Con questi documenti e con quelli
scolastici, che dimostrano che "aveva un insegnante di
sostegno", la difesa punta a ribaltare l'esito della perizia e
ha chiesto una nuova valutazione sulla base di quelle carte che
dimostrano "il suo grave deficit cognitivo" che aveva "sin da
bambina". Lei "aveva il ciuccio fino a tarda età e un bavaglino
sempre con sé".
Il pm Francesco De Tommasi ha chiesto il rigetto della
richiesta della difesa per "mettere la parola fine" a questa
fase di accertamento psichiatrico, anche perché questa
documentazione "non può cambiare la conclusione della perizia",
perché dalle carte non si evincono "quali siano problemi
patologici ma si parla solo di problemi di apprendimento, una
situazione molto diffusa tra i bambini". E ancora: "Noi dobbiamo
giudicare Pifferi oggi e cosa ha fatto in quella settimana
maledetta".
La Corte d'Assise ha detto sì all'acquisizione di quei
documenti e ora deve decidere se accogliere l'istanza di
integrazione della perizia.
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