"L'ansia di essere 'uno che fa
ridere' è terribile. Perché poi, appena sei in un momento giù di
morale, la gente dice 'ah, e questo dovrebbe simpatico?'. Ecco
io non voglio avere questa ansia da prestazione. Parafrasando la
serie Boris, 'io voglio essere Gifuni'". Ascoltare Valerio
Lundini che si racconta è venire inondati da un fiume di parole,
citazioni, battute nascoste tra le parole, non sense surreali
quanto esilaranti, autoironia e sterzate improvvise. Un po' come
lo abbiamo conosciuto su Rai2 in Una pezza di Lundini, programma
ormai cult (anche sul web) condotto con Emanuela Fanelli. E come
è in teatro, in queste settimane, nel suo one man show Il
mansplaining spiegato a mia figlia (prossime date, dal 31 maggio
al 4 giugno al Franco Parenti di Milano, il 5 agli Arcimboldi
sempre a Milano e il 14 giugno alla Cavea dell'Auditorium Paco
della musica di Roma). Uno spettacolo che gira da ormai tre
stagioni e continua a registrare sold out.
"È una versione teatrale di quello che potrebbe accadere in un
concerto: un susseguirsi di situazioni, gag, trovate, monologhi
e anche un paio di canzoni", racconta l'attore all'ANSA,
protagonista invece al cinema con Sergio Castellitto de Il più
bel secolo della mia vita, diretto da Alessandro Bardani. Una
"commedia agrodolce", distribuita nella prossima stagione da
Lucky Red, che in un viaggio Bassano Del Grappa-Roma porta sul
grande schermo la legge tutta italiana che impedisce ai figli
non riconosciuti di sapere l'identità dei genitori naturali se
non al compimento dei 100 anni.
La tv? "Tornerò, ma non è previsto con lo stesso programma -
prosegue - Ho sempre pensato di fare una cosa che avremmo visto
in cinque, invece non era così. Ma ho preferito fermarmi, per
non cadere nella monotonia del 'già visto'. Meglio tornare con
qualcosa di diverso. E sto già scrivendo alcune cose".
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