Alle polemiche perché la Scala
inaugura la stagione con Boris Godunov, quindi con un'opera
russa, "ho dovuto rispondere perché non è un proclama per la
Russia ma per un genio della musica che racconta la follia e la
morte". Riccardo Chailly, che dirigerà l'opera il 7 dicembre, lo
ha ribadito agli studenti dell'Università Bocconi a cui ha
spiegato la bellezza e l'innovazione di quest'opera. "Anatemi e
polemiche non finiscono mai - ha sottolineato -. Forse finiranno
il 29 dicembre con l'ultimo re bemolle che chiude l'opera".
Chailly ha ricordato il concerto di aprile alla Scala a
favore dell'Ucraina e la speranza che finisca la guerra che
considera "una follia". Ma si è soffermato soprattutto
sull'opera citando le parole critiche dj Cajkovskij secondo cui
Musorgskji "parla una lingua nuova'". Cosi nuova che questa
prima versione del 1869 venne rifiutata dalla commissione del
teatro di San Pietroburgo.
Una lingua che, ad esempio nella scena in cui Boris si trova
davanti al frate Pimen che gli ricorda il delitto che commise
per diventare zar e impazzisce. "C'è una impennata musicale che
descrive l'isteria, come brividi di follia che preannunciano
l'ultima scena". Boris dà l'addio, termina dicendo perdonatemi e
c'è una coda in pianissimo, che finisce in re bemolle. E poi "ci
può essere solo il silenzio. I musicisti mi hanno detto che dopo
non riescono a parlare". "È evidente - ha concluso - che noi di
fronte alla grandezza di un compositore di questa portata ci
sentiamo molto piccoli. E portarlo al 7 dicembre era doveroso".
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