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Concordia: naufraghi, 'ci dissero di stare cabina, era trappola'

Concordia: naufraghi, 'ci dissero di stare cabina, era trappola'

Descritto panico a bordo. C'è chi vuole 500.000 euro danni

GROSSETO, 12 maggio 2014, 19:51

Redazione ANSA

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(dell'inviato Michele Giuntini)   GROSSETO, 12 MAG - Festa, meraviglia, rabbia, panico. In un istante l'urto della Costa Concordia mutò il sentire dei crocieristi la sera del 13 gennaio 2012 al Giglio.
    Il cambio fu drammatico per quasi tremila crocieristi improvvisati, sbalzati di colpo dall'avventura a buon mercato alla corsa alla sopravvivenza, verso scialuppe che non si calavano a mare e giubbotti salvagente che nessuno aveva insegnato a indossare. Oggi per la prima volta si è sentita la voce dei naufraghi al processo di Grosseto, e altri testi riferiranno il loro dramma le prossime udienze.
    "Ci dicevano di tornare in cabina ma era una trappola - è uno dei racconti -. Andammo invece verso l'esterno per scappare mentre la nave si rovesciava su se stessa". Non videro ufficiali ma solo tanti "camerieri in divisa". Mentre la nave sbandava davanti al Giglio, l'equipaggio diceva che "era solo un guasto tecnico". E tra rabbia e scene di panico la gente correva al buio, cadeva nei corridoi e per le scale, cercava disperatamente i figli e una via di fuga. "Nessuno ci diceva cosa fare" è l'apice dello smarrimento che si percepisce dalle testimonianze.
    "Al ristorante c'era chi dava in escandescenze, tirava pugni contro gli arredi, le loro mani sanguinavano. Un padre chiedeva: Come faccio a salvarmi? Come faccio a salvare i miei figli?", ha ricordato Luigi D'Eliso: "La risposta dei camerieri fu 'Non lo sappiamo nemmeno noi'".
    La prima superstite in aula è stata una parrucchiera di Roma, Claudia Poliani: "A un certo punto cambiò tutto, dall'allegria e dalla meraviglia di essere in crociera entrammo di colpo nel panico", "cademmo, era buio, nessuno ci assisteva". "Non abbiamo visto ufficiali, c'erano solo camerieri - ha detto - che non parlavano italiano e male l'inglese, allora prendemmo i giubbotti salvagente da soli, e provammo ad indossarli". Dopo il naufragio "ho dovuto cambiare casa: vivevo fuori Roma ma non sono più in grado di guidare tranquillamente la macchina perciò mi sono trasferita in città e uso i mezzi pubblici".
    Anche lei, come altri, soffre di "attacchi di panico. Non mi era mai successo prima". E ancora sul disastro: il "personale ci diceva di tornare in cabina ma capimmo che era una trappola", allora "scappammo verso l'esterno. Eravamo in autogestione". "Non bisognava fare la fine del topo", ha detto Rosanna Abbinante, di Bari ma con attività lavorativa a Cesenatico: "La gente batteva i pugni sui tavoli. Il padre di un bambino urlava.
    Ci dicevano che c'era stato un guasto tecnico", ma "capivamo che non era così. La nave si inclinò e rinunciai, pensai di fare la morte del topo". E ancora: "Non ho visto un ufficiale venire a tranquillizzarci, i marinai ci dicevano che era 'tutto sotto controllo'". La passeggera Liliana Dobrian, romena che vive a Grosseto, ha parlato di "grande spavento. I camerieri non sapevano cosa dire, solo 'E' un guasto elettrico, stare calmi'.
    Dopo il naufragio non dormivamo più, io e mio marito avevamo dolore alla testa, ci ha visitato uno psichiatra, da allora abbiamo paura e ansia". Molti crocieristi della Concordia soffrono tuttora di attacchi di panico e stati di ansia, e sono in cura. Hanno chiesto un risarcimento alla compagnia. In udienza, durante un intervento dell'avvocato di Costa spa - la compagnia è in aula nella duplice veste di parte civile e responsabile civile -, è emerso che una passeggera avrebbe chiesto addirittura 500.000 euro per i danni psicologici subiti, un caso limite rispetto al fatto che la grande maggioranza dei naufraghi si accordata già da tempo con Costa spa per farsi risarcire i danni, anche quelli materiali (beni perduti), a somme ben più basse. Prima dei naufraghi avrebbero dovuto testimoniare due che furono in plancia con Francesco Schettino, il timoniere Jacob Rusli Bin, molto atteso dai media ma che invece è rimasto nella sua Indonesia (è colui che non capì gli ordini del comandante nel momento decisivo dell'ultima correzione possibile), e l'ufficiale di coperta Silvia Coronica: è venuta a Grosseto ma ha detto di non voler testimoniare perché coinvolta in un procedimento connesso (come Rusli Bin ha patteggiato una condanna per omicidio plurimo colposo, lesioni plurime colpose e naufragio colposo). "Non mi sento responsabile di niente", ha detto Silvia Coronica uscendo dall'aula. Breve scintilla quando la difesa di Francesco Schettino - anche oggi in aula coi suoi avvocati - ha chiesto al tribunale di acquisire comunque il verbale dell'interrogatorio di Rusli Bin, ma i legali di Costa spa si sono opposti. A questo punto il tribunale deve decidere se attivare una rogatoria internazionale.
   

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