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Dal miglio al farro sempre al bivio tra pane nero e bianco

Dal miglio al farro sempre al bivio tra pane nero e bianco

Libro "Cerealia" svela misteri archeo-nutrizione e archeo-gusto

ROMA, 07 luglio 2016, 18:50

Redazione ANSA

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- RIPRODUZIONE RISERVATA

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Corsi e ricorsi sui cereali, la coltura che da millenni accompagna il cammino dell'uomo, vedono alternarsi la moda del pane nero a quello da farine bianche. Una scelta di regime alimentare che trova motivazioni e chiavi di lettura sotto l'aspetto archeologico, antropologico e nutrizionale. E' quanto ha tentato di analizzare Giuseppe Nocca nel libro "Cerealia" interamente dedicato ai cereali consumati fino alla scoperta dell'America, attraverso un percorso storico che tenta una rilettura delle strategie nutrizionali messe in atto nella nostra dieta.

L'autore, con un passato da agronomo e con un presente da docente di scienza dell'alimentazione, prova a ricostruire le motivazioni storiche, nutrizionali ed archeologiche che ci inducono di volta in volta in volta a scegliere un cereale per poi abbandonarlo; è stato il caso del miglio, del panico, della segale, dell'avena, del sorgo, dell'orzo e dei tre tipi di farro, fino ad arrivare al frumento. Ognuno di questi cereali ha lasciato delle tracce storiche ed etimologiche nel panorama gastronomico italiano, ma la barra era rivolta verso la produzione di pani sempre più raffinati ed alti, frutto di una scelta inconsapevole verso l'aumento del contenuto di glutine nella nostra dieta.

Il testo, in forza della passione dell'autore per la letteratura classica, greca e latina, riesce a documentare il lento passaggio del gusto dominante in epoca romana verso dei prodotti della panificazione dal colore sempre più bianco e dalla consistenza soffice. Questo passaggio, compatibile con la lentezza dell'evoluzione della tecnica della setacciatura, riuscirà proprio in epoca romana a sostituire nelle classi più agiate il consumo di cereali ad alto contenuto di amido resistente e di fibra che resterà appannaggio delle classi più povere. In tal modo nel mondo rurale continuerà ad essere consumato miglio, panico, sorgo e "grano arso", privi di glutine, contrariamente ai banchetti seicenteschi durante i quali comparivano i primi bucatini, realizzabili solo con frumenti dal glutine più elastico. Ne emerge un'Italia a due velocità nella scelta e nel consumo di cereali, che contrappone focacce e zuppe dall'alto potere saziante a pani e dolci sempre più alti e bianchi; il colore bruno delle farine di farro tostato di epoca romana lascia il posto al colore bianco delle farine raffinate; il bianco diventa simbolo di "purezza" perché il prodotto della macinazione è stato setacciato proprio come l'uomo, adulto nella fede, purificato dai suoi "peccati", ha assunto una nuova condizione.

La moderna nutrizione ci conferma che il colore bruno degli alimenti è proprio quello che maggiormente assicura un potere antiossidante contro le patologie tumorali, contrariamente al significato del bianco delle farine.

Il colore resta una chiave di lettura fondamentale del testo nel suo insieme, poiché se da un lato aiuta a comprendere ciò che la nostra civiltà ha perso o guadagnato in termini di nutrizione, per altri aspetti si rivela una chiave di lettura nel decodificare le forme dei dolci o le ricorrenze religiose.

Il libro ricostruisce una storia del glutine analizzando le forme dei forni per cuocere il pane a partire dall'antica Grecia fino al I secolo d.C. a Roma, potendo in tal modo verificare che, all'aumento delle dimensioni e della quantità del pane prodotto, le dimensione della camera di cottura variava in modo continuo. L'autore ricostruisce, inoltre, una storia tecnologica della pasta anche a partire dagli scritti classici. La strategia nutrizionale della pasta segue un percorso pressoché analogo al pane anche se procrastinato nel tempo.

(Cerealia. Archeo-nutrizione e archeogusto nell'evoluzione delle strategie alimentari dei cereali di Giuseppe Nocca - Arbor Sapientiae Editore. 440 pagine, 45 euro).



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