(di Massimo Lomonaco)
Nei prossimi mesi l'ospedale
'Holy Family' dell'Ordine dei Cavalieri di Malta a Betlemme
festeggerà il centomillesimo nato. Un risultato (4.646 i piccoli
venuti al mondo nell'ultimo anno) che la dice lunga sul ruolo e
l'importanza nei Territori Palestinesi di questa struttura
sanitaria di alto livello nel campo della neonatologia. E che
ora non solo punta a creare un nuovo padiglione ma anche a
moltiplicare le sue attività di assistenza diretta nell'aree più
remote attraverso Unità mediche mobili.
"Le nostre prerogative di assoluta neutralità, apoliticità e
di storica capacità di portare soccorso nello spirito dei
fondatori dell'Ordine, ci consentono - sottolinea fra' Alessando
de Franciscis, Grande Ospedaliere dell'Ordine di Malta in un
incontro con la stampa internazionale - di operare in zone
difficili come quelle in cui ci troviamo adesso o come sta
accadendo anche ora in Ucraina". I Cavalieri di Malta sono un
soggetto di diritto internazionale e un ordine religioso laico
della Chiesa cattolica con relazioni diplomatiche bilaterali con
oltre 110 Paesi e Unione Europea oltre allo status di
osservatore permanente all'Onu. Una istituzione globale che
opera con progetti medici, sociali e umanitari in oltre 120
Nazioni.
"L'ospedale 'Holy Family' serve la Palestina del sud nei
governatorati di Betlemme ed Hebron. Ha preso avvio - sottolinea
il Grande Ospedaliere, ministro della sanità e della
cooperazione internazionale dell'Ordine e lui stesso pediatra -
35 anni fa, su input di papa Giovanni Paolo II, su una proprietà
a Betlemme delle suore ed è stato realizzato dai Francesi. Fin
dal primo momento è sembrato che la sua peculiarità non potesse
che essere la maternità visto anche il valore simbolico della
non distante Basilica della Natività. Poi, via via, si è espanso
e negli anni ha sviluppato una alta competenza di terapia
neonatale".
Gli standard di cura e i risultati - assicurano dall'ospedale
durante la visita dei media - competono con quelli dei paesi
dell'Europa occidentale. Un punto di forza, tra gli altri, è la
terapia intensiva con 18 posti letto che si prende cura dei
bambini nati a 25 settimane che rimangono per più di 90 giorni;
ci sono poi tre sale operatorie per cesarei di emergenza e
relativi interventi, gestite da chirurghi, anestesisti,
infermieri chirurgici e neonatologi. "Betlemme dal marzo del
2020 fronteggia una grave crisi economica aggravata ancora di
più dalla pandemia Covid. E quello che stiamo constatando -
aggiunge de Franciscis - è un incremento dei parti di bambini
pretermine: un fenomeno indotto dall'aumento appunto della
povertà, dello stress e dell'ansia. Voglio tuttavia precisare
che questo avviene non solo qui ma in tutte le zone segnate
dagli stessi fatti".
Nell'ospedale - che include una farmacia, un laboratorio, e
serve come centro di insegnamento e addestramento del personale
sanitario - sono impiegati direttamente o indirettamente circa
200 palestinesi, di questi 25 medici (10 residenti), 53
ostetriche, 43 infermieri. "Ma vogliamo fare di più. Per questo
- dice il Grande Ospedaliere sottolineando a questo proposito la
necessità di donazioni internazionali - è in corso la
realizzazione della nuova struttura accanto a quella antica: un
impegno di lavori da 5 milioni di dollari. Le lunghe braccia
dell'ospedale sul territorio sono le Unità mobili che servono
ogni giorno villaggi isolati e remote comunità beduine nel
deserto, prevalentemente composte da rifugiati. Ogni Unità ha a
bordo una ginecologa, un pediatra e una infermiera per ogni
necessità delle pazienti e dei loro figli. "Mandiamo il nostro
ambulatorio in quelle comunità che hanno - dice Michele Burke
Bowe, ambasciatrice dell'Ordine in Palestina - la maggior
barriera di accesso alle cure mediche perché arrivare a Betlemme
è complicato, costoso ed è anche una questione di sicurezza".
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