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Laser e parodontite: a che punto siamo?

Laser e parodontite: a che punto siamo?

A cura di Gianluca Vittorini Orgeas, Membro della Commissione dedicata ANSA SIdP

11 dicembre 2023, 14:12

Redazione ANSA

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Laser e parodontite: a che punto siamo? - RIPRODUZIONE RISERVATA

Laser e parodontite: a che punto siamo? - RIPRODUZIONE RISERVATA
Laser e parodontite: a che punto siamo? - RIPRODUZIONE RISERVATA

La parodontite è una patologia cronica che colpisce i tessuti di supporto dei denti ed è riconducibile ad uno squilibrio tra aggressione dei microbi della placca batterica dentale e risposta immunitaria dell’organismo umano; essa si manifesta clinicamente con la formazione di tasche parodontali, sanguinamento gengivale, mobilità dentale e altri segni e sintomi. La terapia pur essendo praticata con successo da svariati anni dai dentisti, successivamente al Workshop classificazione del 2017 è stata schematizzata all’interno delle attuali linee guida elaborate dalla Federazione europea di Parodontologia; questo per standardizzare il trattamento della parodontite nelle sue varie forme di presentazione, dalla più lieve alla più severa.

In estrema sintesi esse prevedono, solo dopo un’appropriata diagnosi, due step terapeutici iniziali volti all’eliminazione o riduzione della placca batterica e del tartaro sopra e sotto gengivali cui può far seguito un ulteriore terzo step correttivo che, anche con interventi chirurgici, cerca di risolvere le anomalie anatomiche indotte dalla malattia nei tessuti gengivali; infine terminate queste fasi di terapia attiva, il paziente viene inserito in un sistema di monitoraggio che costituisce il quarto step: il controllo nel tempo della salute parodontale raggiunta mediante appuntamenti di richiamo. Queste linee guida, con il patrocinio della Società Italiana di Parodontologia SIdP, sono state approvate e adottate dal Ministero della Salute e costituiscono pertanto una indispensabile risorsa non solo per i professionisti sanitari e gli operatori del settore ma anche per i pazienti; ad esempio, proprio volendo capire quale sia il ruolo del laser nella terapia della parodontite, è praticamente obbligatorio ricorrere alla loro consultazione, alla ricerca di risposte affidabili basate sull’evidenza scientifica più recente. Innanzitutto bisogna evidenziare come da decenni il laser venga utilizzato in odontoiatria: ne esistono numerose tipologie con differenti caratteristiche fisiche, che ne determinano l’affidabilità e la versatilità di impiego in varie branche odontoiatriche, non solo come alternativa alla chirurgia tradizionale ma anche in differenti approcci terapeutici specifici. Attualmente infatti, in odontoiatria vengono utilizzati vari tipi di laser con diverse lunghezze d’onda e peculiarità d'uso specifiche, talora sinergiche, come il laser a anidride carbonica, per la cura dei tessuti molli, quello ad Erbio, per il trattamento dei tessuti duri, cioè denti e osso, quello a Neodimio, per l'endodonzia, la parodontologia e la patologia orale come anche il laser a diodi. Nello specifico per quanto riguarda la terapia della parodontite, il laser può essere usato in aggiunta agli approcci tradizionalmente utilizzati; infatti le linee guida EFP hanno confermato come, per trattare tale patologia, sia indispensabile il ricorso alla rimozione del biofilm batterico e dei depositi di tartaro, sopra e sottogengivali mediante strumenti tradizionali, siano essi manuali, come scaler e curette, o meccanici come gli ablatori sonici o ultrasonici, usati singolarmente o in combinazione. Chiarito questo presupposto basilare irrinunciabile, ne consegue che, in parodontologia, l’adozione del laser per il trattamento delle tasche parodontali possa intendersi esclusivamente come surplus o integrazione rispetto alle strumentazioni tradizionali; in tale contesto d’uso, gli scenari clinici ipotetici possono essere due: l’impiego come ablatore subgengivale dei depositi di tartaro con azione antibatterica diretta e la cosidetta terapia fotodinamica.

Nel primo caso vengono impiegati laser con un duplice range di lunghezza d’onda alto (2,780– 2,940 nm) e basso (810–980 nm) per cercare al contempo di disintegrare per evaporazione il tartaro sottogengivale e di avere un’azione battericida, nel tentativo ipotetico di migliorare i risultati clinici della decontaminazione delle radici dentali colpite dalla parodontite, già eseguita mediante strumenti tradizionali; purtroppo però la qualità delle pubblicazioni scientifiche disponibili e la loro eterogeneità, attualmente, non permette di evidenziare un impatto positivo significativo derivato da tale uso aggiuntivo del laser, per cui le linee guida non ne raccomandano l’utilizzo, sottolineando che se da un lato la procedura non presenta effetti pericolosi o avversi, dall’altro i costi addizionali della stessa potrebbero non essere giustificati.

Nel secondo scenario, quello della terapia antimicrobica fotodinamica (aPDT), il laser è impiegato all’interno di una procedura clinica che sembrerebbe potenziare l’effetto antibatterico della strumentazione subgengivale tradizionale dei denti affetti da parodontite. In questo approccio terapeutico viene adottata una tipologia di laser a bassa lunghezza d’onda (660–670 nm o 800–900 nm): il raggio luminoso colpisce un apposito colorante batterico precedentemente applicato all’interno delle tasche parodontali, e libera così ossigeno che esplica un azione battericida diretta distruggendo il rivestimento cellulare dei microbi anaerobi. Purtroppo anche in questo caso i dati della letteratura scientifica, seppur disomogenei, non confermano i benefici sperati nell’utilizzo aggiuntivo di tale procedura, per cui le linee guida EFP attualmente non ne raccomandano l’impiego, pur testimoniandone la sicurezza, anche perchè il rapporto costi/benefici non appare favorevole e giustificabile.

In conclusione sebbene i vari tipi di laser rivestano un ruolo importante e talora insostituibile in molte terapie, nei differenti ambiti odontoiatrici, per quanto riguarda la terapia della parodontite, i dati offerti dalla letteratura scientifica non ne suggeriscono l’impiego, pur lasciando margine ad auspicabili sviluppi futuri sull’uso aggiuntivo e non sostitutivo degli approcci terapeutici tradizionali.

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