E' possibile prevedere fin dalla
diagnosi se i pazienti colpiti dalla leucemia linfoblastica
acuta di tipo B (B-LLA) avranno maggiori probabilità di ricaduta
dopo i trattamenti. E' quanto emerge da uno studio condotto
Centro di Ricerca Matilde Tettamanti e dell'Università di
Stanford (Usa), sostenuto anche dall'AIRC con il contributo
della Fondazione 'Benedetta è la Vita' Onlus è pubblicato su
Nature Medicine. Nonostante i successi sempre maggiori dei
trattamenti antitumorali di prima linea per la leucemia
linfoblastica acuta, infatti, la mortalità è dovuta sopratto
alla recidiva. I ricercatori hanno osservato che alcune
particolari caratteristiche funzionali della cellula tumorale,
associate alla ricaduta di questa malattia, sono già presenti al
momento della diagnosi. Finora occorreva aspettare la risposta
al trattamento e la verifica molecolare della cosiddetta
"malattia residua minima", per stabilire l'eventuale rischio di
ricaduta. La scoperta potrebbe migliorare le terapie e i criteri
del rischio.
Grazie a un'analisi ad altissima risoluzione, spiegano gli
studiosi, è stato possibile studiare singolarmente le cellule ed
identificare un preciso comportamento cellulare che sembra
guidare la ricaduta.
In particolare, sono state individuate 6 caratteristiche
cellulari, presenti in 2 sottopopolazioni leucemiche, in grado
di far prevedere la ricaduta del paziente fin dal momento della
diagnosi. In una successiva analisi le coppie di campioni
ottenuti al momento della diagnosi e della ricaduta sono state
analizzate e si è così ottenuta la conferma che il profilo
predittivo iniziale, osservato alla diagnosi, si mantiene nelle
cellule presenti alla ricaduta. Alla luce dei risultati ottenuti
il modello verrà ora testato su un numero più ampio di pazienti
(circa 300) che saranno messi a disposizione dal Children's
Oncology Group americano.
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