La salute è sempre più
'partecipata': il paziente spesso è informato, consapevole, e
vuole avere un ruolo attivo nelle scelte che riguardano le sue
cure e il suo benessere. Tuttavia, meno della metà delle persone
(47%) in cura per un tumore si ritiene "pienamente consapevole
del percorso di cura", e un quarto addirittura lo è "poco o per
nulla". A fotografare la situazione è un'indagine SWG presentata
oggi a Milano, all'apertura del Forum internazionale sulla
consapevolezza del paziente oncologico, organizzato
dall'Università degli Studi di Milano in collaborazione con la
Fondazione Veronesi.
Secondo l'indagine, il 65% dei pazienti italiani vorrebbe più
supporto da parte del proprio medico, che percepisce come "più
focalizzato sulla patologia che sulla persona", in particolare
nel momento della diagnosi. Quattro su dieci vorrebbero più
informazioni anche dalle strutture sanitarie a cui si rivolgono,
e maggiore supporto (60%). Fondamentale anche il supporto
psicologico per affrontare il percorso delle terapie,
soprattutto nelle prime fasi della malattia (a chiederlo è il
79% degli italiani), in modo da poter accettare meglio la
diagnosi e affrontare il futuro con più serenità.
"Oggi, quando si intraprende un percorso di cura - commenta
Gabriella Pravettoni, direttore della Psiconcologia all'Istituto
Europeo di Oncologia - occorre condividerlo con la persona che
si ha di fronte: a prescindere da sesso, età e dalle sue
conoscenze mediche. L'essere ascoltati, seguiti e accuditi dai
propri famigliari favorisce l'auto-efficacia e riduce i livelli
di ansia e preoccupazione collegati alla malattia".
Proprio per concretizzare la teoria in azioni, gli esperti
riuniti nel Forum internazionale hanno stilato un Patto "con la
richiesta ufficiale alla comunità scientifica, alle autorità,
alle associazioni e all'industria di adoperarsi concretamente
affinché la centralità della persona malata e della sua dignità
sia alla base di ogni intervento di ricerca, di formazione e di
cura dei pazienti con tumore".
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