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Diabete 1 collegato a differenze nei batteri intestinali

Diabete 1 collegato a differenze nei batteri intestinali

In chi ha rischio genetico di svilupparlo mancano alcune specie

ROMA, 27 agosto 2019, 16:41

Redazione ANSA

ANSACheck

Studio pubblicato su Nature Communications - RIPRODUZIONE RISERVATA

Studio pubblicato su Nature Communications - RIPRODUZIONE RISERVATA
Studio pubblicato su Nature Communications - RIPRODUZIONE RISERVATA

 I bambini ad alto rischio genetico di sviluppare il diabete di tipo 1 hanno una flora batterica intestinale diversa rispetto a quelli con basso rischio. A individuare il legame tra la malattia e la composizione del microbioma dell'intestino è uno studio pubblicato su Nature Communications, che suggerisce come il rischio genetico possa modellare la risposta di un individuo a fattori ambientali nello sviluppo di malattie autoimmuni.
    Il diabete di tipo 1 è una malattia autoimmune che si sviluppa durante l'infanzia o l'adolescenza e che richiede un trattamento intensivo permanente con insulina. Nel suo sviluppo svolgono un ruolo sia fattori ereditari che ambientali e, tra questi ultimi vi è la flora intestinale, che è legata a alimentazione e stili di vita e ha un ruolo importante nella maturazione del sistema immunitario. Per il nuovo studio, ricercatori svedesi hanno analizzato in campioni di feci di 403 bambini dell'età di un anno, esaminando il loro rischio genetico in base ad alcune variazione dei geni HLA, che svolgono un ruolo importante nel sistema immunitario e che rappresentano i più forti fattori di rischio genetico per il diabete 1. Alcune specie batteriche non sono state trovate affatto nei bambini ad alto rischio genetico, ma sono state trovate in quelle a rischio basso o nullo. "È possibile che alcune specie non possano sopravvivere in soggetti ad alto rischio genetico" e ciò potrebbe significare che queste specie "possono avere effetti protettivi ed essere utili per prevenire le malattie autoimmuni", afferma l'autore dello studio, Johnny Ludvigsson, professore presso il Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale dell'Università di Linköping. Il lavoro, commenta Paolo Pozzilli, ordinario di Endocrinologia al Campus Bio-Medico di Roma ed esperto della Società Italiana di Diabetologia (Sid), "è molto interessante dal punto di vista scientifico, ma le ricadute sul piano pratico per i soggetti ad alto rischio sono difficili al momento da implementare".
   

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