Sette mondiali vinti, insieme a tante battaglie, lui primo pilota nero in Formula uno che già la storia l'aveva scritta prima ancora che sventolassero le tante bandiere a scacchi. Del resto Lewis Hamilton da Stevenage, nato da famiglia di origini umili, papà Anthony di Granada che faceva tre lavori per far girare sui kart il suo piccolo predestinato, il contatto con la realtà e il mondo vero non lo ha mai perso: per questo il suo luminoso passaggio nel non facile cosmo delle monoposto ha lasciato il segno e non solo per le sette corone d'oro conquistate, l'ultima nel 2020 facendo la fortuna della Mercedes, che lascerà per unirsi dal 2025 alla Ferrari.
Che carica a bordo molto più di un pilota: Hamilton è infatti un personaggio, un'icona rivoluzionaria, che non ha paura di schierarsi. Convinto ambientalista, vegano, appassionato di moda e strenuo difensore del movimento antirazzista 'Black Lives Matter', è il meno allineato del Circus, un campione che non ha mai avuto timore di dire quello che pensa, anche quando questo fa storcere il naso a molti. Lo ha fatto sui diritti degli omossessuali, sulle battaglie anti razzismo, con garbo ma senza peli sulla lingua, spesso voce fuori dal coro in un mondo in cui c'è più omologazione che levate di scudi. Anche per questo il binomio con la Ferrari, il più tradizionale dei team, suscita clamore. Ok i sette mondiali, i 103 gp vinti, ma ciò che ha reso Hamilton campione unico è anche il suo essersi misurato con il contributo alle cause dei più deboli, con la capacità di saper sfruttare la fama e lo sport per portare avanti fini ancora più elevati.
La Fia però spesso non ha gradito alcune sue levate di scudi, come quando, nel 2020, si presentò sul podio del Gran Premio del Mugello indossando una maglietta che chiedeva di "arrestare i poliziotti che hanno ucciso Breonna Taylor". Ancora lo scorso anno assicurava che avrebbe continuato ad esprimere la propria opinione sui circuiti, nonostante il divieto della Fia di pubblicizzare "commenti politici, religiosi o personali" senza il suo consenso. "Niente mi impedirà di parlare dei problemi che ci sono" perché "lo sport ha una responsabilità, quella di trattare sempre argomenti importanti per sensibilizzare la gente" spiegava.
Un impegno che non sempre gli ha attirato le simpatie dei colleghi: qualcuno, ad esempio, non ha voluto inginocchiarsi sulla griglia di partenza, in ossequio al gesto nato dal 'Black Lives Matter', sentendola come una imposizione nata dal potere di Hamilton in F1. "Non ho mai chiesto o preteso che qualcuno si inginocchiasse" aveva detto.
Da marziano sbarcato nel Circus perché primo nero a leggenda il passo è stato breve: la serie di vittorie per il pilota britannico era cominciata grazie alla lungimiranza della McLaren di Ron Dennis, l'uomo che lo scoprì e accompagnò al successo nonostante i litigi con Fernando Alonso compagno ai primi tempi a Woking. Era il 2008, l'anno in cui è cominciata la favola di Hamilton, con il primato di Michael Schumacher nel mirino e raggiunto. Del resto a 10 anni già vinceva il campionato di kart: a 13 era nel programma Young Driver Support della McLaren e della Mercedes e dal 1998 al 2000 ha vinto i campionati europei e mondiali di kart, diventando a 15 anni il pilota più giovane di sempre a salire sul gradino più alto. Passando poi alle auto, nel 2003 conquistò il campionato britannico di Formula Renault vincendo 10 gare su 15, poi si impose in Formula 3 nel 2005 e nel campionato GP2 l'anno dopo.
Da lì il passaggio alla McLaren e dopo una stagione arriva il mondiale 2008 a soli 23 anni: poi la striscia super in Mercedes con i titoli vinti nel 2014, 2015, 2017, 2018, 2019 e l'ultimo nel 2020. Veloce in qualifica, aggressivo in gara, di Hamilton non esistono copie: a 40 anni arriva in Ferrari, in tandem con il più giovane Leclerc. La storia è già scritta.
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