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Antonio Citterio, così ho cominciato a disegnare mobili

Antonio Citterio, così ho cominciato a disegnare mobili

Quando negli anni '70 telefonavo alle aziende non sapevano nemmeno cosa volesse dire la parola 'designer'

29 novembre 2018, 01:04

Redazione ANSA

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prototipo della poltroncina Italea disegnata da Antonio Citterio per B&B 1980 (fonte Domus) - RIPRODUZIONE RISERVATA

prototipo della poltroncina Italea disegnata da Antonio Citterio per B&B 1980 (fonte Domus) - RIPRODUZIONE RISERVATA
prototipo della poltroncina Italea disegnata da Antonio Citterio per B&B 1980 (fonte Domus) - RIPRODUZIONE RISERVATA

Così Antonio Citterio, in occasione della mostra Domus, 'Youthful stories, storie di ventenni, raccontava i suoi esordi e la sua passione per il suo lavoro: ''La mia generazione era, per certi aspetti, sprovveduta: aveva una formazione per lo più autodidatta e questo permetteva di ignorare le cose già fatte da altri. Quando si è giovani, si ha l’arroganza “del fare”, credo che sia la cosa più bella.

Il maestro del design dice: ''Ho iniziato a disegnare mobili nel 1963, a 13 anni. A 18, studiavo la mattina; di pomeriggio, lavoravo in uno studio di architettura, mentre la sera progettavo con alcuni colleghi della scuola. Nel 1970, a 20 anni, insegnavo alle scuole serali dell’Istituto d’arte di Cantù ed è stato nello stesso anno, in giugno, che ho ufficialmente aperto il mio studio con altri due soci. Come se non bastasse, facevo anche il servizio militare. Mia madre, però, voleva a tutti i costi che mi laureassi e m’iscrisse alla facoltà di Architettura. Oggi dopo essere diventato genitore a mia volta, e confrontandomi spesso con i ventenni a cui insegno, cerco di far capire loro che nessuna generazione ha mai avuto niente in regalo: a essere cambiato è soltanto il rapporto tra la domanda e l’offerta. Ricordo che quando telefonavo alle aziende in cerca di lavoro, non sapevano nemmeno che cosa volesse dire la parola ‘designer’. All’epoca, per disegnare un prodotto, ti davano 10.000 lire (5 euro): non erano disposti a spendere di più, ma in compenso, la fatica era tanta. Ho fatto carte false per entrare in B&B Italia; telefonavo, mi presentavo in sede; cercavo di convincerli che ero bravo. Per fortuna, Piero Busnelli mi aveva preso in simpatia. B&B lavorava con personaggi dello spessore di Tobia Scarpa e Mario Bellini, mentre io non ero che un ragazzo. Nel 1974, ho realizzato il primo prodotto per l’azienda. L’avevo presentato a Busnelli, al quale l’idea era piaciuta molto, ma non avendo tempo per farne un prototipo, chiese a me di realizzarlo. Quando tornai da lui, rimase sbalordito: lo mise in produzione e lo presentò al Salone del Mobile. Il nostro studio in provincia di Milano non era un ufficio, ma piuttosto un laboratorio: c’erano un tecnigrafo e alcuni tavoli da lavoro, sui quali realizzavamo i modelli, che erano l’unico modo per comunicare i progetti: nessuno era in grado di leggere un disegno. Mio padre aveva una piccola azienda, dove mi è anche capitato d’incontrare un designer che era arrivato da noi su una spider rossa. Per certi aspetti, nell’immaginario comune, il designer era fatto così. Era stata in una di quelle occasioni che avevo sentito parlare di un Istituto d’arte per l’arredamento a Cantù, che poi avevo deciso di frequentare. Era una scuola straordinaria e richiedeva un grande impegno. Il primo anno, sono stato rimandato in tre materie: copia dal vero, storia dell’arte e disegno geometrico.

Così Antonio Citterio, nel 2017 in occasione della mostra per gli anni di Domus, raccontava i suoi esordi e la sua passione per il suo lavoro: ''La mia generazione era, per certi aspetti, sprovveduta: aveva una formazione per lo più autodidatta e questo permetteva di ignorare le cose già fatte da altri. Quando si è giovani, si ha l’arroganza “del fare”, credo che sia la cosa più bella.

Il maestro del design dice: ''Ho iniziato a disegnare mobili nel 1963, a 13 anni. A 18, studiavo la mattina; di pomeriggio, lavoravo in uno studio di architettura, mentre la sera progettavo con alcuni colleghi della scuola. Nel 1970, a 20 anni, insegnavo alle scuole serali dell’Istituto d’arte di Cantù ed è stato nello stesso anno, in giugno, che ho ufficialmente aperto il mio studio con altri due soci. Come se non bastasse, facevo anche il servizio militare. Mia madre, però, voleva a tutti i costi che mi laureassi e m’iscrisse alla facoltà di Architettura. Oggi dopo essere diventato genitore a mia volta, e confrontandomi spesso con i ventenni a cui insegno, cerco di far capire loro che nessuna generazione ha mai avuto niente in regalo: a essere cambiato è soltanto il rapporto tra la domanda e l’offerta. Ricordo che quando telefonavo alle aziende in cerca di lavoro, non sapevano nemmeno che cosa volesse dire la parola ‘designer’. All’epoca, per disegnare un prodotto, ti davano 10.000 lire (5 euro): non erano disposti a spendere di più, ma in compenso, la fatica era tanta. Ho fatto carte false per entrare in B&B Italia; telefonavo, mi presentavo in sede; cercavo di convincerli che ero bravo. Per fortuna, Piero Busnelli mi aveva preso in simpatia. B&B lavorava con personaggi dello spessore di Tobia Scarpa e Mario Bellini, mentre io non ero che un ragazzo. Nel 1974, ho realizzato il primo prodotto per l’azienda. L’avevo presentato a Busnelli, al quale l’idea era piaciuta molto, ma non avendo tempo per farne un prototipo, chiese a me di realizzarlo. Quando tornai da lui, rimase sbalordito: lo mise in produzione e lo presentò al Salone del Mobile. Il nostro studio in provincia di Milano non era un ufficio, ma piuttosto un laboratorio: c’erano un tecnigrafo e alcuni tavoli da lavoro, sui quali realizzavamo i modelli, che erano l’unico modo per comunicare i progetti: nessuno era in grado di leggere un disegno. Mio padre aveva una piccola azienda, dove mi è anche capitato d’incontrare un designer che era arrivato da noi su una spider rossa. Per certi aspetti, nell’immaginario comune, il designer era fatto così. Era stata in una di quelle occasioni che avevo sentito parlare di un Istituto d’arte per l’arredamento a Cantù, che poi avevo deciso di frequentare. Era una scuola straordinaria e richiedeva un grande impegno. Il primo anno, sono stato rimandato in tre materie: copia dal vero, storia dell’arte e disegno geometrico.

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