Nasce a Napoli il network per
l'AOP, l'arteropatia obliterante periferica, nota come 'malattia
delle vetrine', di cui soffrono più di 3mila campani. Il network
mette in rete 16 ospedali campani su iniziativa del Dipartimento
di Scienze biomediche dell'Università Federico II e ha come
obiettivo creare un modello assistenziale per i pazienti affetti
da AOP. Si tratta di una patologia ostruttiva di tipo
arterosclerotico che provoca il restringimento delle arterie che
a livello cardiaco e cerebrale può causare ictus e infarto
mentre negli arti inferiori il rischio è la mancata irrorazione
dei tessuti con conseguente necrosi e amputazione dell'arto.
Il Centro di Cardiologia della Federico II sarà il centro di
coordinamento del network e la rete nelle cinque province
campane assicurerà ai pazienti sottoposti a rivascolarizzazione
una presa in carico ''uniforme e standardizzata'' che migliori
la loro qualità e aspettativa di vita.
La rete si rivolgerà a un target potenziale di circa 1.100
pazienti. La piattaforma informatica faciliterà il coordinamento
tra il centro referente e quelli aderenti, favorendo una
gestione assistenziale uniforme. Gli ospedali afferenti al
network sono : AOU Federico II Napoli, L'Azienda ospedali dei
Colli Ospedale Monaldi, l'Ospedale del Mare, l'ospedale dei
Pellegrini, la Casa di Cura Villa dei Fiori ad Acerra, la
Clinica Mediterranea, il Cardarelli, a Salerno il San Giovanni
di Dio e Ruggi d'Aragona, il San Luca a Vallo della Lucania, la
Casa di Cura Salus di Battipaglia, l'ospedale di Eboli "Maria
SS. Addolorata', l'Azienda Sant'Anna e San Sebastiano a Caserta,
la Clinica San Michele di Maddaloni, l'ospedale San Giuseppe
Moscati e la Clinica Montevergine di Avellino e l'Azienda
ospedaliera San Pio a Benevento. I primi sintomi sono dolori al
polpaccio e alla gamba che provocano una zoppìa intermittente.
Da qui il nome 'malattia delle vetrine' perché impedisce a chi
ne soffre di camminare bene per il dolore e costringe le
persone a fermarsi. I principali fattori di rischio della
malattia sono l'età avanzata, l'ipertensione, il fumo,
l'ipercolesterolemia e il diabete mellito. In ogni struttura
ospedaliera un'équipe multidisciplinare composta da chirurghi
vascolari e cardiologi prenderà in carico i pazienti che vanno
incontro a rivascolarizzazione arteriosa , sia chirurgica che
endovascolare, degli arti inferiori. Allo stato attuale, solo
pochi pazienti ricevono una terapia medica adeguata rispettosa
delle raccomandazioni delle linee guida internazionali. Compito
dei ricercatori coinvolti nello studio è proprio ''accertare che
dopo la procedura di rivascolarizzazione i pazienti ricevano una
valida terapia medica che venga adeguatamente seguita nel
tempo''.
''L' interazione tra il chirurgo vascolare e il cardiologo è
fondamentale - afferma Giovanni Esposito, direttore dell'Unità
Operativa Complessa di Cardiologia, Emodinamica e UTIC della
Federico II - perchè l'approccio alla patologia deve essere di
tipo chirurgico e farmacologico. In passato, l'ischemia del
piede diabetico, causata proprio dall'arteriopatia obliterante,
risultava inevitabilmente nell'amputazione con tutti i rischi
connessi e nell'arco di un anno la mortalità dei pazienti
amputati è di uno su tre, in alcuni casi anche uno su due. Oggi
invece le terapie farmacologiche associate alle tecniche di
rivascolarizzazione come stent e by-pass - spiega - permettono
di evitare l'amputazione grazie alla riapertura delle arterie e
al ripristino della circolazione nel piede. E in questo percorso
il peso della terapia farmacologica è aumentato enormemente'. I
dati dicono che i farmaci riescono a ridurre del 35 per cento le
amputazioni e che quindi su 70mila amputazioni l'anno se ne
possono evitare almeno 10mila.
Le terapie farmacologiche ''di maggior successo - si evidenzia -
sono quelle antitrombotiche con anticoagulanti orali e quelle
con farmaci in grado di ridurre il colesterolo: questi farmaci
hanno ridotto drasticamente non solo i casi di infarto ma anche
le conseguenze più severe e invalidanti della malattia
periferica''. La costituzione del network per l'AOP consentirà
- conclude Esposito - ''anche di evitare ai pazienti di essere
ricoverati in ospedale a causa dell'insorgenza di accidenti
cerebrovascolari, cardiovascolari e ridurrà l'impatto sociale
delle invalidità attraverso la prevenzione delle amputazioni e,
non ultimo, creerà un modello terapeutico all'avanguardia in
Campania''.
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