Lo sversamento di liquami nel
fiume Pescara da parte del Consorzio di bonifica Centro di
Chieti è "una delle risposte, ahimè tristemente banali, sui
motivi dell'inquinamento del mare abruzzese e del mancato
rispetto dell'ambiente che ci circonda". Parole del sostituto
procuratore antimafia dell'Aquila David Mancini, pronunciate
nella conferenza stampa per illustrare i dettagli dell'inchiesta
"Panta rei" della Direzione Distrettuale, svolta dai comandi
provinciali della Forestale di Chieti e Pescara.
Inchiesta nata, ha ricordato Antonietta Picardi, uno dei
sostituti procuratori della Dda, a seguito di "esposti anonimi
per gli odori nauseabondi che arrivavano da quell'impianto".
Le indagini hanno appurato che nel fiume Pescara il Consorzio
scaricava consapevolmente arsenico - impiegato nelle procedure
di depurazione dei fanghi - in quantità superiore 12 volte ai
limiti imposti dall'Autorizzazione integrata ambientale (Aia).
"Di fronte all'arsenico messo nel fiume bisognava intervenire
per la tutela dell'incolumità pubblica e dell'ambiente" ha
aggiunto il sostituto procuratore della direzione nazionale
antimafia (Dna), Antonio Laudati, secondo il quale "questo è un
tipo di reati per cui c'è bisogno di una particolare sensibilità
delle strutture pubbliche: sono reati vaghi, senza facce di
vittime, ma che colpiscono un numero indeterminato di persone. E
così ci ritroviamo mare inquinato, persone avvelenate, pesci
ammazzati e ambiente distrutto".
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