"Il calcio è, forse, l'unica cosa
che i poveri hanno strappato ai ricchi. I calciatori sono sempre
venuti dal basso, dove la lotta per la vita è divertente su
qualunque campo sia possibile lanciare una palla e dove la
povertà, grazie al calcio, si può permettere un sogno di
prosperità": Jorge Valdano, nella sua rubrica settimanale su El
Pais "Il gioco infinito" riflette sulla figura del calciatore
all'epoca del coronavirus e torna su L'Equipe che la scorsa
settimana ha paragonato Leo Messi come novello Che Guevara per
la sua posizione nella trattativa con il Barcellona per il
taglio degli stipendi."Accusare i calciatori, sempre più
spesso, di essere ambiziosi e poco solidali, come se fossero
responsabili di tutte le ingiustizie sociali, c'è un abisso. Lo
stesso abisso esiste quando si trasforma Messi in Che Guevara
perché ha accettato, come capitano, una riduzione dell'ingaggio
e 'un taglio aggiuntivo affinché i dipendenti non professionisti
ricevano il 100% del loro stipendio'. La risposta dell'Équipe
all'accordo - sottolinea Valdano - è stata quella di mascherare
Leo da Che Guevara, nel tentativo di trasferire l'eroe dello
sport nella sfera sociale. Il prestigio del giornale francese
non lo salva dal gusto moderno per l'esagerazione e ci pone
davanti a un nuovo esempio del continuo viaggio pendolare dei
giocatori. Siamo abituati al fatto che un giorno siano buoni e
un altro cattivi; ora dobbiamo abituarci al fatto che un giorno
sono avidi e l'altro sono rivoluzionari. La realtà è che sono
cittadini privilegiati che, quando la società lo richiede, non
dimenticano le loro origini e si comportano come cittadini
impegnati".
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