Il ciclista è certamente un
vagamondo, per riprendere il neologismo di Brera. Se infatti il
calcio, la pallavolo, il basket, la ginnastica e il tennis si
svolgono in una scatola chiusa quale è lo stadio, il ciclismo ha
uno stadio infinito: la strada. Va da sé che sia facile
comprendere come la bicicletta possa essere una sorgente
straordinaria di letteratura. Perché la bici è avventura,
esplorazione e scoperta e il ciclista diventa un soggetto degno
del racconto. Claudio Gregori nel suo "I Vagamondi - scrittori
in bicicletta" (66thand2nd editore, PP. 256, 18 euro), presenta
30 scrittori sui pedali. La gamma degli autori è il più vario.
Ci sono quattro donne: Elizabeth Pennell, Colette, Simone De
Beauvoir, Oriana Fallaci. E ancora poeti: Guerrini, Gozzano e
Pascoli. Ma anche scienziati, come Marie Curie e Einstein, o
grandi maestri del giallo come Doyle e Leblanc, e della
filosofia, come de Beauvoir e Sartre. Poi autori di fantascienza
e umoristi, autori di teatro e campioni del teatro dell'assurdo,
fino a scrittori d'avventura, giornalisti, pedalatori
appassionati, personalità sudamericane di spicco, geni eclettici
e persino scrittori che non sapevano andare in bicicletta. Nel
libro di Gregori, spazio anche alle curiosità. Come quella della
più lunga intervista della storia della bicicletta, realizzata
da García Marquez: durò 25 ore e si protrasse 5 ore al giorno
per 5 giorni. La fece a Ramón Hoyos, che, nel 1955, aveva vinto
la terza Vuelta a Colombia consecutiva. Altro aneddoto: nella
discesa verso Tintern Abbey, famosa abbazia cistercense del
Galles, c'è anche lo scontro in bicicletta tra due futuri premi
Nobel: George Bernard Shaw e Bertrand Russell. Perché in sella a
una bicicletta, tutti possono diventare vagamondi.
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