Dieci anni dopo la testata a Materazzi nella finale mondiale con l'Italia che segnò la fine della sua maestosa carriera da calciatore, Zinedine Zidane torna da protagonista su terreno di gioco, sulla panchina della squadra più titolata al mondo, il Real Madrid. A 44 anni, dopo una lunga gavetta da dirigente e da tecnico delle squadre minori nel grande club merengue che lo ha accolto nel 2001 dopo i trionfi con la Juve, è arrivato il momento tanto atteso per colui che è sempre apparso come un predestinato. Talento, fisico e intelligenza lo hanno reso uno dei più grandi campioni di sempre. Ora dovrà dimostrare di essere all'altezza delle aspettative anche in panchina e soprattutto di saper resistere alle pressioni di un ruolo che ha schiacciato mostri sacri di esperienza enormemente superiore alla sua (Mourinho docet). Il suo nome è sempre stato il primo nella lista di Florentino Perez, forse l'unico, in caso di esonero di Rafa Benitez, e il momento è oggi arrivato. Zizou ha la fiducia totale del club, ma solo i risultati sul campo potranno proteggerlo. Da giocatore, non è mai stato in discussione. La bacheca del francese è stracolma di trofei individuali, dal Pallone d'oro vinto nel 2008 ai tre titoli di Fifa World Player, e di coppe prestigiose, quelle del Mondiale '98 e dell'Europeo 2000 con la Francia, le due Intercontinentali con Juventus e Real, le varie Coppe e Supercoppe nazionali o europee. Una carriera stellare, la sua, illuminata da giocate straordinarie, che facevano al differenza - come i due gol di testa nella finale contro il Brasile di Francia 98, o quello da antologia per regalare la finale di Champions al Real Madrid -, e gestita con cura nel comportamento da uomo maturo, riservato e sorridente. A volte, però, qualche comportamento fuori controllo. Ai Mondiali francesi camminò con i tacchetti su un difensore saudita e subì due giornate di stop e una selva di critiche, ma poi tornò e vinse la finale. Due anni dopo, in un Juve-Amburgo di Champions, affibbio', forse provocato, una testata ad un avversario: 5 giornate e la Juve pagò caro il comportamento del suo numero 10. Infine, l'evento più eclatante e ormai leggendario: la testata a Materazzi nella finale mondiale di Berlino che lui stesso aveva scelto come partita di addio. Episodi rari e lontani, ma significativi. Una parte di quella rabbia e di quella capacità di reazione, opportunamente reindirizzata, ora gli potrà essere indispensabile per il nuovo incarico.
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