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A Downing Street i vagiti dell'asse Roma-Londra

A Downing Street i vagiti dell'asse Roma-Londra

ROMA, 02 aprile 2014, 00:04

Pierfrancesco Frerè

ANSACheck

David Cameron, insieme a Barack Obama, è sembrato il più convinto sostenitore della missione riformatrice europea di Matteo Renzi. Angela Merkel, al suo confronto, è stata altrettanto cortese ma anche più tiepida.

    Il fatto è che le ''ambizioni'' italiane preoccupano assai più Berlino di Londra. Anzi, a questo punto si potrebbe parlare di un nascente asse antitedesco Italia-Gran Bretagna, con sullo sfondo Stati Uniti e Francia in posizione di supporto. Obiettivo dichiarato dallo stesso Cameron: fare del semestre di presidenza italiana della Ue (''estremamente importante'', ha sottolineato) il trampolino di lancio per l'archiviazione delle politiche di austerity. Non a caso il capo del governo britannico ha tenuto a precisare come i ''due riformismi'', quello di ''Matteo'' e quello di ''David'', siano affini nei traguardi pur partendo da basi politiche molto diverse. Come ha detto il Rottamatore, i due Paesi vogliono un' Europa diversa, non più Europa, con esplicita allusione al ''luogo della burocrazia assoluta'' (Bruxelles) che finora ha soffocato i timidi segnali di ripresa.

    In tal senso, è significativo che sia stato deciso di tenere il G7 dell'energia nel nostro Paese: all'Italia viene assegnato un ruolo strategico nella ricerca dell'autonomia dal gas di Mosca, ma anche nella ricerca di una soluzione diplomatica della crisi ucraina, visti i buoni rapporti con Putin. E soprattutto è significativo quanto è stato detto sulla politica del lavoro e sulla necessità di aprire il capitolo della flessibilità. Quando Renzi definisce ''sconvolgente'' il dato della disoccupazione italiana, in realtà dichiara il totale fallimento delle politiche del lavoro dei governi Monti e Letta e della elite finanziaria che governa i destini dell'Unione.

    Questo è il motivo per cui il presidente del Consiglio fa sapere che l'impostazione del decreto lavoro non si tocca. Si capisce che anche il Jobs Act (che si ispira per l'appunto alla filosofia anglosassone) si muoverà sulla stessa linea.

    E' tutto il pacchetto delle riforme, lascia intendere il Rottamatore, che deve essere difeso nella sua impostazione di fondo pur essendo naturalmente aperto ai contributi migliorativi del Parlamento. Il ministro delle Riforme Maria Elena Boschi ha espresso analogo concetto in sede di discussione della riforma del Senato; da Londra Renzi è tornato a ripetere che non si accontenterà di ''mezze riforme'' come quella che vorrebbe Pietro Grasso (nuovamente criticato per il suo sostanziale conservatorismo).

    Gli oppositori replicano che si tratta di materie tanto complesse (quelle istituzionali soprattutto) da non poter essere affrontate in modo sbrigativo, ma il premier-segretario ha gioco facile dell'osservare come in questo modo in Italia in trent'anni non si sia concluso un bel nulla. A Renzi e al suo passo da bulldozer i partner europei riconoscono una buona dose di coraggio: non si era mai vista in Italia una tale concentrazione di provvedimenti riformisti da realizzare in così poco tempo. Ma certo la Merkel appare molto più cauta di Cameron e di Obama, in attesa del cruciale Consiglio europeo di fine giugno al quale si dovrà pur vedere con quali risultati elettorali si presenteranno i vari premier.

    Renzi sa bene di giocarsi alle europee una buona fetta del vantaggio acquisito in poche settimane di governo. Per questo motivo non vuole ricontrattare il patto con Silvio Berlusconi: sottrarsi ad un nuovo incontro a due è un modo per dire che il Pd regge e spetta a Forza Italia (che fibrilla almeno quanto i democratici) dimostrare di saper gestire l'accordo. Del resto Angelino Alfano difficilmente potrebbe sopportare nuovi summit alla vigilia del primo vero test elettorale per i transfughi berlusconiani. Il Nuovo centrodestra sta studiando la possibilità di un accordo elettorale con l'Udc e i popolari di Mario Mauro nell'ottica del Ppe italiano e non consentirebbero che al Cavaliere sia riconosciuto quasi un potere di controllo sulle riforme. Allo stesso modo, alla vigilia della sentenza della magistratura sul suo destino personale, il leader di Forza Italia ha bisogno di rilanciarsi e di lasciare in eredità ai suoi un saldo retroterra di intese con il Pd di Renzi.

    E' questo lo spazio insidioso in cui tentano di incunearsi gli avversari del segretario democratico. L'opposizione interna gli chiede di rivedere sostanzialmente decreto lavoro e riforma del Senato, cioè le sue intangibili barriere. L'opposizione esterna (Vendola e Grillo) lo accusa di velleità autoritarie. Ma sul Senato la Lega fa sapere che potrebbe votare a favore: è un'incrinatura imprevista del fronte antirenziano.
   

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