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'I miei figli sono nati una seconda volta'

'I miei figli sono nati una seconda volta'

Alexey: 'Missile russo mi ha distrutto casa, ma voglio la pace'

KIEV, 27 febbraio 2022, 18:19

dell'inviato Mattia Bernardo Bagnoli

ANSACheck

Alexey Morozovhe e la sua famiglia - RIPRODUZIONE RISERVATA

Alexey Morozovhe e la sua famiglia - RIPRODUZIONE RISERVATA
Alexey Morozovhe e la sua famiglia - RIPRODUZIONE RISERVATA

Alexey Morozovhe è un imprenditore di 45 anni, ha tre figli e un'azienda che importa formaggio dall'Olanda in Ucraina. Ma il mondo lo noterà, e brevemente, solo perché uno degli appartamenti distrutti da un missile russo, nei sobborghi di Kiev, era il suo. "La camera dove dormono i miei due ragazzi, di 12 e 8 anni, è proprio quella danneggiata dall'esplosione", racconta raggiunto per telefono dall'ANSA. "Abitiamo al 22esimo piano: il pavimento si è aperto, è precipitato giù tutto". Pausa. "I miei bambini sono nati una seconda volta".
    E' la notte fra il 25 e il 26 febbraio. Le autorità di Kiev avvertono i residenti che si rischiano bombardamenti russi.
    Alexey decide allora di organizzarsi e passare la notte nel rifugio del palazzo, un grande edificio multipiano del Lobanovskogo Prospekt, periferia ovest della capitale ucraina.
    Non è scontato. Organizzare lo spostamento di una famiglia di cinque persone non è uno scherzo, costa fatica. E la guerra sembra ancora una cosa assurda, qualche rombo nella notte. Ma Alexey decide di fidarsi delle autorità. E porta tutti nel rifugio. "A un certo punto, verso le 8 del mattino, abbiamo udito un boato e una forte puzza di bruciato. Con i vicini del quartiere abbiamo una chat. Mi hanno inviato le foto del palazzo colpito. E io ho riconosciuto casa mia dalle finestre, la camera dei ragazzi...".
    Il primo pensiero è la lotteria al contrario: non vinci nulla in più di quello che hai già, anzi, hai perso l'appartamento, pesantemente danneggiato, ma conservi ciò che hai di più importante. Dunque del resto non te ne importa un accidente.
    "Staremmo parlando di tutt'altra cosa, se lì dentro ci fossero stati i miei ragazzi", sussurra Alexey. Il rifugio ora è diventato la loro casa. "Ovvio, parenti e amici ci hanno offerto ospitalità ma ora non possiamo uscire, le forze ucraine stanno conducendo delle operazioni in zona, non ce ne possiamo andare", spiega. Quando sarà possibile "probabilmente staremo con i miei genitori". Benché il piano A sarebbe un altro. "Ho il visto per poter risiedere all'estero, vorrei portare tutti via di qui. Ma è difficile, i ponti sono stati fatti saltare, i treni... non so. Anzi, se lei che è giornalista viene a sapere di un modo sicuro per andare via, mi avvisi per favore".
    In tutto questo Alexey non mostra rabbia, non accusa nessuno.
    "Io, dato il mio mestiere, mi sono sempre tenuto distante dalla politica, noi imprenditori facciamo altro. Adesso però, se potessi parlare a Joe Biden, a Vladimir Putin, alla Nato, a Volodymyr Zelensky, sa cosa direi loro? Fate la pace, subito.
    Trovate degli accordi fra di voi ma non ammazzateci, per favore". Una posizione ben diversa dal resistere e combattere a oltranza propinato dalle autorità ucraine, ministro degli Esteri Dmytro Kuleba in testa. Ma per l'appunto, quando la guerra ti prende davvero nella carne, o quasi, vuoi solo che finisca il prima possibile. 
   

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