Nonostante fossero detenuti al
41bis affidavano incarichi direttivi ai loro uomini di fiducia,
dirigendo le strategie criminali e imprenditoriali del clan
Contini, componente di rango dell'Alleanza di Secondigliano,
cercando anche di costringere "i pentiti" a non collaborare più
con la Giustizia.
E' emerso anche questo dall'indagine della Squadra Mobile di
Napoli, del Nucleo Investigativo dei Carabinieri di Napoli, del
Nucleo di Polizia Economico-Finanziaria di Napoli e dello Scico
della Guardia di Finanza che ha portato all'esecuzione di una
ordinanza emessa dal gip su richiesta della Direzione
Distrettuale Antimafia (pm Converso e Varone, coordinati dal
procuratore Nicola Gratteri e dal procuratore aggiunto Rosa
Volpe).
Disposta la custodia cautelare in carcere nei confronti di
quattro persone appartenenti allo stesso nucleo familiare, due
dei quali già detenuti, mentre ad altri nove indagati è stato
disposto il sequestro di due immobili intestati a prestanome e
di denaro, poco più di 353mila euro, ritenuti profitto di
riciclaggio.
I reati contestati dagli inquirenti sono associazione
mafiosa, minaccia, induzione a non rendere dichiarazioni o a
rendere dichiarazioni mendaci all'autorità giudiziaria,
riciclaggio e autoriciclaggio: a tre dei quattro si contesta
l'associazione mafiosa.
Le indagini hanno anche consentito di fare luce
sull'inversione di strategia tra l'Alleanza e i rivali del clan
Mazzarella tra i quali, fino a quel momento, c'era una sorta di
"pace mafiosa".
Gli indagati, sebbene in carcere, davano anche indicazioni
sulla distribuzione degli stipendi agli affiliati. Due dei
destinatari delle misure cautelari avrebbero anche riciclato i
proventi illeciti in società risultate intestate a dei
prestanome: si tratta di ditte che operano nella gestione dei
rifiuti ferrosi, nella telefonia e negli affitti degli immobili.
In questa maniera sarebbero stati reimpiegati i soldi frutto di
truffe messe a segno vendendo orologi di lusso "taroccati" a
facoltosi imprenditori, anche all'estero.
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