Nelle guerre di frontiera fra colonizzatori britannici e le nazioni indigene in Australia, dopo l'occupazione iniziata nel 1788, furono perpetrate centinaia di massacri di aborigeni, in metà dei casi per mano della polizia o di altre forze governative. Molti altri furono eseguiti da coloni ma con la tacita approvazione delle autorità.
Sono alcuni dei dati della versione finale del progetto di otto anni detto Colonial Frontier Massacres Digital Map, il quale mostra come il conflitto fosse molto diffuso e come la maggior parte dei massacri fossero pianificati, in un tentativo deliberato di sradicare i popoli aborigeni e la resistenza delle nazioni indigene alla colonizzazione del continente.
L'analisi indica che le morti di aborigeni furono da 27 a 33 volte più numerose di quelle dei colonizzatori: furono uccisi tra 11 mila e 14 mila aborigeni, e fra 399 e 440 soltanto colonizzatori. Il pretesto più comune per un massacro era la rappresaglia per l'uccisione di un colono, e il numero di persone uccise era fortemente sproporzionato. La morte di un colono poteva risultare in spedizioni di vendetta guidate dalla polizia, che duravano settimane o mesi.
Seguono per frequenza i massacri classificati come 'opportunità'. La maggior parte di questi erano programmati, non casuali, e in molti casi potevano contare sul coinvolgimento delle autorità, o comunque erano perpetrati sapendo che non vi sarebbero state ripercussioni formali. Molti furono perpetrati "per dare una lezione ai nativi" dopo un furto di bestiame. Lo studio fornisce un quadro dei conflitti sul territorio, sull'acqua e sulle risorse, fra i coloni e i popoli aborigeni, che venivano sistematicamente dislocati.
Australia: studio su massacri di aborigeni in colonizzazione
Uccisi fra 11 e 14 mila dopo occupazione in 1788
