Avrebbero fornito droga per la
movida cittadina e controllato in prima persona lo spaccio di
alcune delle piazze principali di Brindisi, con i pusher che per
gli spostamenti utilizzavano anche bici elettriche. E' quanto
emerso dall'inchiesta della Polizia che ha portato all'arresto
di 12 persone in provincia di Brindisi, 6 in carcere e 6 ai
domiciliari, in esecuzione di un'ordinanza emessa dal Gip di
Lecce su richiesta della Procura della Repubblica-Dda.
L'attività investigativa e gli arresti riguardano un presunto
sodalizio criminale che - secondo quanto accertato dalla Polizia
- sarebbe riferibile al clan Romano-Coffa di Brindisi, operante
nell'intero territorio della provincia. Le piazze di spaccio
maggiormente attive e controllate sarebbero il quartiere
Sant'Elia, possibile base operativa del sodalizio, il rione
Paradiso, oltre ai luoghi della movida. Legata a queste attività
illecite ci sarebbe anche - ritengono gli inquirenti - la morte
nel novembre del 2019 di un tossicodipendente, che dopo essersi
allontanato dalla comunità, perse la vita nell'abitazione di una
donna che inizialmente lo aveva ospitato e agevolato
nell'acquisto della droga.
Spaccio di sostanze stupefacenti, ma non solo. Le indagini della
Squadra mobile avrebbero accertato le vessazioni di alcuni
componenti del gruppo nei confronti di diversi commercianti di
Brindisi, tramite l'omesso pagamento per l'acquisto di beni, ma
anche con richieste estorsive di poche decine di euro.
Sono stati poi riscontrati episodi di violenza attribuibili al
gruppo, con l'esplosione di colpi di arma da fuoco nel rione
Paradiso e questo sarebbe avvenuto per affermare il controllo
del territorio degli indagati, anche nei confronti di personaggi
storicamente inseriti nella criminalità brindisina e che mal
sopportavano la presenza di "nuove leve", secondo quanto
accertato dalle forze dell'ordine.
Oltre gli arresti è stato eseguito un decreto di sequestro
patrimoniale preventivo di un immobile, in località Giancola a
Brindisi, nella disponibilità del clan Romano-Coffa, che -
ritiene l'autorità giudiziaria - nonostante l'interposizione
fittizia del bene ad un'altra persona, sarebbe stato acquistato
con i proventi delle attività illecite.
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